Che il nostro ministro degli Esteri metta in dubbio il valore universale del diritto internazionale rappresenta un fatto grave senza precedenti, che mette in forte disagio la credibilità istituzionale italiana sul piano internazionale.

Tanto che sul punto è intervenuto con parole ferme e indignate il professor Edoardo Greppi, presidente della Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione Europea (SIDI).

Greppi ha inviato una lettera al ministro Tajani, e per conoscenza al presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dai vertici delle nostre istituzioni trapelano segnali di irritazione per quanto accaduto.

Il motivo della lettera è noto: durante una trasmissione televisiva del 1° ottobre, Tajani — interrogato sulla legittimità del blocco israeliano in acque internazionali — ha affermato che «il diritto internazionale vale fino a un certo punto». Una frase pronunciata con leggerezza, forse, ma dal peso politico enorme.

Greppi non nasconde il suo «profondo imbarazzo» e, a nome di oltre 700 membri della SIDI, ha espresso «doppia irricevibilità» per un’affermazione che, in un momento drammatico per i conflitti in corso, suona come un grave e incomprensibile cedimento culturale e istituzionale.

«Da un lato — scrive il presidente Greppi — contrasta apertamente col dettato costituzionale, di cui Lei, in ragione della carica pubblica che riveste, è custode. Dall’altro, perché resa in diretta TV, davanti a milioni di cittadini e cittadine, può diffondere la convinzione che del diritto anche le massime cariche dello Stato possano fare a meno».

Appare chiaro che Tajani abbia messo addirittura in dubbio il rispetto del diritto internazionale, che è un obbligo costituzionale e morale. L’articolo 11 della Costituzione, infatti, non lascia margini di ambiguità: l’Italia «ripudia la guerra» e promuove la giustizia tra le Nazioni. Dichiarare che il diritto «vale fino a un certo punto» equivale, nella sostanza, a minare uno dei pilastri su cui si regge la nostra Repubblica.

Greppi ricorda che queste parole arrivano in un contesto tragico, in cui «un’intera popolazione a Gaza patisce sofferenze criminali da ben oltre due anni» e in cui «si assiste a continue violazioni del diritto internazionale in Ucraina». E sono questi i momenti in cui il diritto dovrebbe rappresentare il più forte argine contro la barbarie, ma la delegittimazione da parte di un ministro rappresenta un vulnus profondo.

Il presidente della SIDI invita infine Tajani a «una presa di posizione decisa in favore del rispetto del diritto internazionale, affinché — mutuando le parole del Presidente della Repubblica — esso prevalga contro ogni aggressione e prevaricazione».

Non è solo una questione di forma. Le parole del ministro degli Esteri hanno un peso politico e diplomatico, e le conseguenze non si fermano ai confini italiani. L’Italia, in sede europea e ONU, ha sempre rivendicato la propria fedeltà al diritto internazionale e ai valori umanitari, ma le parole di Tajani rischiano di mettere fortemente in discussione l’affidabilità del nostro Paese.

Viviamo tempi drammatici in cui le regole vengono piegate agli interessi di determinate potenze, mentre le guerre sostituiscono il dialogo e la diplomazia. Quindi l’appello dei giuristi italiani suona come un monito: il diritto non vale «fino a un certo punto» — vale sempre, o non vale più per nessuno.