C’era una volta un’Italia stanca di Berlusconi e in cerca di un cambiamento serio. Serio, appunto. Troppo serio. Pier Luigi Bersani, con il suo aplomb da funzionario emiliano anni ’50, giacca scura e lessico da sagrestia laica, sembrava uscito da un film in bianco e nero. Doveva essere l’uomo della riscossa del centrosinistra, il segretario che avrebbe consegnato finalmente Palazzo Chigi al Partito Democratico. Invece, nel 2013, contro ogni previsione, riuscì nell’impresa di non vincere un’elezione praticamente già vinta.

Il suo PD si fermò a un malinconico 25%, inchiodato da una campagna elettorale impacciata e da uno stile comunicativo che sembrava pensato per le feste dell’Unità del secolo scorso. I suoi "Smacchiare il giaguaro", "pettinare le bambole", "asciugare gli scogli" erano surreali quanto l’incontro tragicomico con i il Movimento 5 Stelle in streaming. Quella famosa scena, diventata virale suo malgrado, in cui Bersani cercava di trovare un accordo con un partito che lo derideva in diretta, è diventata simbolo dell’incapacità del vecchio centrosinistra di capire i nuovi linguaggi della politica.

Eppure, uomo d’apparato, Bersani portò in Parlamento molti suoi fedelissimi grazie ai listini bloccati. Una mossa che sapeva di vecchia scuola, e che non piacque né alla base né ai commentatori. Dopo aver lasciato la segreteria del PD, non gli riuscì nemmeno il ruolo di “padre nobile” del partito: troppo ingombrante il suo rancore verso Matteo Renzi, che non sopportava e che contribuì a contrastare durante il referendum costituzionale del 2016, schierandosi per il No insieme all’immarcescibile Massimo D’Alema.

Da lì in poi, Bersani tentò la via del partitino: Articolo 1, Liberi e Uguali, sigle di sinistra che, come da tradizione italiana, finirono nel nulla tra divisioni, percentuali da prefisso telefonico e rimpianti post-comunisti.

Pier Luigi Bersani è una figura onesta, radicata, coerente. Ma anche drammaticamente fuori sincrono. Una persona perbene, cosa rara in politica, ma incapace di adattarsi ai ritmi e ai codici di un mondo che nel frattempo era cambiato. In un paese che cercava narrazioni forti, facce nuove e leadership mediatiche, lui offriva il passo lento, le battute da bar sport e la nostalgia di un tempo che non c’è più. E forse proprio per questo, oggi, molti lo rimpiangono. Ma da lontano.