Covid, la verità di Pallaria sulla figuraccia a Report quando disse di non sapere nulla di sanità

Il super dirigente regionale ed ex capo della Protezione civile prende le distanze dagli scandali delle ultime settimane: «Non c’entro nulla con lo schifo che sta succedendo»

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di Enrico De Girolamo
12 novembre 2020
16:26
Domenico Pallaria durante l’intervista concessa a Report nel marzo 2020
Domenico Pallaria durante l’intervista concessa a Report nel marzo 2020

«Non c’entro nulla con lo schifo che sta succedendo nella sanità calabrese e non voglio essere accumunato a certe situazioni».
L’ingegnere Domenico Pallaria, a capo del dipartimento Lavori pubblici e dirigente regionale tra i più longevi e potenti, visto che da circa 20 anni siede alla destra e alla sinistra dei presidenti che si sono succeduti alla guida della Calabria, non ci sta a finire nel calderone dei vari Cotticelli e Zuccatelli che hanno conquistato la ribalta nazionale a colpi di dichiarazioni improbabili e brutte figure rimbalzate sui social come in un flipper impazzito.

 


Eppure è stato lui, Pallaria, ad aprire la strada alle figuracce nazionalpopolari dell’era Covid, quando a marzo, da capo della Protezione civile regionale con il compito di attuare gli interventi di contrasto all’epidemia, concesse una lunga intervista alla trasmissione Report durante la quale ammise che di sanità e macchinari salvavita non ne sapeva assolutamente nulla: «I ventilatori per la respirazione assistita? Non so neppure cosa siano. Mi sono sempre occupato d’altro, di infrastrutture, di lavori pubblici…». Il giorno dopo, travolto dalle polemiche, si dimise (come è successo più recentemente a Cotticelli dopo l’intervista concessa a Titolo Quinto) e la questione si chiuse così senza altre conseguenze per lui.

 

Oggi, dopo gli sviluppi più recenti sulla sanità calabrese, che hanno visto finire nell’occhio del ciclone il commissario uscente e quello entrante, il ricordo di quell’intervista “apripista” a Report è riaffiorato e Pallaria è voluto tornarci su per spiegare quello che accadde e per ribadire che con quello che sta succedendo ora non c’entra nulla.
«Quel servizio di Report – racconta – fu il frutto di una distorta rappresentazione dei fatti mediante un’artata estrapolazione di pochi secondi di un’intervista durata circa due ore. Solo per evitare strumentali ed ulteriori polemiche, mi dimisi da responsabile del Settore (Uoa) Protezione Civile regionale che ricoprivo dal 20 novembre 2018, cioè da quando fu chiamato a sostituire Carlo Tansi».

 

«A fine gennaio 2020 - continua - venne dichiarata l’emergenza Covid19. Il 3 febbraio il capo della Protezione civile nazionale, Angelo Borrelli, emanò l’Ordinanza N. 630 con la quale si disponevano i primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza e vennero indicate le deroghe a leggi e regolamenti esistenti per la realizzazione dei medesimi». Ad affiancare Pallaria c’era il dirigente Generale del Dipartimento Salute, Antonio Belcastro. Con loro anche uno specifico gruppo di lavoro «per affrontare le problematiche che via via si presentavano (allestimenti tende pre-triage nelle aree degli ospedali, controlli negli aeroporti, reperimento dei dispositivi di protezione e molto altro ancora)».

 

Tra le cose da fare, anche la grana più difficile da risolvere: allestire nuovi posti letto di terapia intensiva e sub intensiva.
«A questo scopo – ricorda Pallaria – vennero convocati tutti i tecnici e i direttori sanitari e amministrativi (anche i commissari) delle Asp e delle Aziende ospedaliere, per esporre le varie esigenze. In altre parole, il primario espressamente coinvolto doveva dirci qual era il componente da acquistare».
Insomma, secondo Pallaria era ovvio che lui non ne sapesse nulla di ventilatori polmonari: «Io dovevo solo predisporre l’acquisto di ciò che i medici e il resto della task force mi chiedevano di comprare. Punto». Che detto così è anche convincente. Ma a rivedere le immagini su Report resta l’amaro in bocca, quanto meno per l’incapacità di un dirigente di quel livello di capire che davanti alle telecamere di una tv sarebbe meglio evitare sempre, anche in un’intervista durata due ore di riprese, qualunque ingenuità. Perché poi, alla fine, a pagarne lo scotto, anche in termini d’immagine, sono sempre i calabresi.

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