La Centrale del Mercure è salva, la legge della Regione Calabria che ne avrebbe sancito la chiusura è stata dichiarata incostituzionale ma la Consulta sfrutta la decisione sulla cosiddetta “legge Laghi” per fissare qualche paletto attorno alla nascita di centrali a biomasse nei parchi naturali. Intanto le reazioni sono contrastanti: il consigliere Giuseppe Graziano (Azione) gioisce per la bocciatura della norma voluta da Ferdinando Laghi, esponente dell’opposizione, ma votata anche da pezzi della maggioranza di centrodestra di cui fa parte Azione a Palazzo Campanella. Gioisce, ma per motivi diversi, anche il deputato di Fdi Ernesto Rapani che loda l’equilibrio di Occhiuto e la decisione di rinviare l’applicazione della legge evitando problemi a chi l’aveva approvata (sempre la maggioranza di centrodestra). Meno clemente con il governatore l’Unione delle libere imprese forestali: l’Ulif esige delle scuse per il «danno che Occhiuto&Co stavano per causare a tutti i calabresi».

«Preservare i parchi»

Partiamo dalla sentenza che boccia l’intervento normativo del Consiglio regionale ma invita comunque a tutelare i pachi naturali: «Siccome i parchi naturali – scrive la Consulta – ricoprono solo una limitata parte del territorio nazionale o regionale, e quindi sussiste un’abbondante disponibilità di altre aree dove realizzare tali impianti, appare evidente il problema della dubbia coerenza, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, tra la localizzazione in detti siti» di impianti da biomasse con potenza superiore ai 10 MW termici «e la scelta di preservare i parchi stessi dall’eccesso di contaminazione antropica, che è quella che giustifica la loro costituzione».

A differenza degli altri impianti che utilizzano fonti energetiche rinnovabili – la cui realizzazione e operatività si pone, normalmente, in minore conflitto con la tutela dell’ambiente e il cui sviluppo costituisce un interesse «di cruciale rilievo» proprio «rispetto al vitale obiettivo di tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni» – per i suddetti impianti alimentati da biomasse, pur anch’esse qualificabili nell’ambito delle Fer, un tale conflitto è, invece, più facilmente ipotizzabile, quando la loro realizzazione avvenga in aree, come i parchi, destinate precipuamente a difendere «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi», cioè i beni cui fa espresso riferimento il novellato articolo 9 della Costituzione.

La sentenza della Corte costituzionale

È quanto si legge nella sentenza numero 134 del 2025, depositata oggi, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la parte in cui dispone che «è vietata», nei parchi nazionali e regionali ricadenti nel territorio calabrese, la realizzazione di impianti di potenza superiore a 10 MW termici alimentati da biomasse, anziché disporre che i suddetti parchi «costituiscono aree non idonee» alla realizzazione di questa tipologia di impianti, nonché l’articolo 14, comma 2, della medesima legge, che dispone che entro sei mesi gli impianti eccedenti la suddetta potenza siano tenuti a ridurla a pena di decadenza dalla relativa autorizzazione.

Aree inidonee sì, ma non divieti assoluti

La sentenza ha precisato che nel nuovo contesto dei principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», così come integrati, sul piano tecnico, dal decreto ministeriale del 21 giugno 2024, con legge regionale possono essere individuate non solo le aree idonee, ma anche quelle inidonee.

Resta però fermo che «la inidoneità dell’area, pur se dichiarata con legge regionale, non si può tradurre in un divieto assoluto stabilito a priori, ma equivale a indicare un’area in cui l’installazione dell’impianto può essere egualmente autorizzata ancorché sulla base di una idonea istruttoria e di una motivazione rafforzata».

Il ruolo della tutela ambientale nei parchi

A questo riguardo, tuttavia, la sentenza ha precisato che «se tale regime potrebbe condurre, di per sé, all’autorizzazione di centrali alimentate da biomasse di elevata potenza termica nei parchi naturali», tale eventualità potrebbe presentare criticità rispetto alla «preminente rilevanza accordata […] alla protezione dell’ambiente» dal novellato articolo 9 della Costituzione, che ne consacra direttamente nel testo il mandato di tutela e «vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa».

Tale mandato costituzionale – ha aggiunto la sentenza – «dovrà essere attentamente considerato da tutte le amministrazioni procedenti – ivi compreso il Consiglio dei ministri in sede di decisione sull’opposizione di cui all’art. 14-quinquies della legge 241 del 1990 – in relazione all’esigenza di tutelare la biodiversità e i delicati ecosistemi che si sviluppano nei parchi nazionali o regionali, ove assentissero in questi luoghi alla realizzazione delle suddette centrali».

Rapani: «Bene la cautela di Occhiuto»

Rapani, dicevamo, difende con decisione l'atteggiamento del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. «Non c'era motivo di correre — afferma Rapani — e oggi possiamo dire che il tempo ha dato ragione a chi ha scelto la cautela. Rinviare l'applicazione della norma ha evitato conseguenze dannose per chi l'aveva approvata». Il riferimento è alle critiche piovute nei mesi scorsi su Occhiuto, accusato di non aver dato seguito immediato alla legge regionale. Rapani ribalta la prospettiva: a suo giudizio si è trattato di una scelta di equilibrio, che ha preservato la Regione da rischi economici e giuridici. «Una posizione rivelatasi lungimirante — prosegue Rapani — ha protetto la Regione da conseguenze evitabili. A chi accusa Occhiuto di immobilismo, dico che è stato proprio quel fermarsi a prevenire danni. Serve lucidità, non reazioni impulsive». Infine, l'affondo ai critici: «Chi continua a strumentalizzare il tema dell'impianto dovrebbe guardare ai risultati. La Regione ha agito con buon senso. È ciò che si chiede a chi governa». Oggi, dopo la sentenza, non vi è più obbligo di riduzione né rischio di revoca dell'autorizzazione. L'impianto resta in funzione e la pronuncia della Corte riafferma il principio secondo cui le regole non si cambiano in corsa, tutelando chi ha agito nel rispetto delle norme vigenti.

Le imprese forestali: «Occhiuto chieda scusa»

Di segno opposto il commento dell’Unione libere imprese forestali: «Si tratta di una decisione che smonta, punto per punto, l’impianto giuridico su cui si è basato il provvedimento fortemente voluto dal Presidente Occhiuto e da una parte della sua maggioranza. Alla luce di questa sentenza storica, rivolgiamo un’interrogazione pubblica al presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, il quale – lo ricordiamo – aveva minacciato le dimissioni se la proposta di legge fosse stata anche solo discussa in Consiglio. Il Governo “amico” dello stesso Occhiuto ne ha certificato l’infondatezza costituzionale. Ci chiediamo: ora il Presidente cosa intende fare? Intende mantenere coerenza politica e trarre le dovute conseguenze?». La legge, per gli imprenditori forestali, sarebbe stata un disastro per tutto il comparto in cui «operano 450 imprese iscritte all’albo regionale (dati aggiornati a giugno 2025) che danno lavoro a circa 9mila persone». La Centrale del Mercure, spiegano, «acquista circa 380mila tonnellate di cippato all’anno, rappresentando un punto di riferimento essenziale per la filiera con un fatturato lordo annuo stimato in 98.400.000 euro» e «le altre centrali calabresi (Crotone, Strongoli, Rende, Cutro) non hanno capacità di assorbimento aggiuntiva, il che avrebbe provocato un crollo del prezzo del cippato e il default per molte imprese. Questo è il danno che Occhiuto & C. stavano per causare a tutti i calabresi, in una delle Regioni con il più alto tasso di povertà e il più basso tasso di occupazione d’Italia».

Il Pd: «Smascherata l’arroganza del centrodestra»

“È una sentenza – proseguono i consiglieri dem - che ristabilisce la verità e smaschera definitivamente l’arroganza del centrodestra e di Occhiuto che hanno voluto costruire una norma ad hoc per colpire un’esperienza virtuosa, come quella della Centrale del Mercure, solo per assecondare logiche ideologiche o interessi di parte. Come gruppo del Pd, avevamo denunciato sin dal primo momento la palese incostituzionalità della norma e l’inaccettabile forzatura politica con cui è stata portata avanti, persino imponendo una questione di fiducia e impedendo il ritorno del testo in Aula, in spregio alle decisioni assunte dalle Commissioni e alle richieste avanzate dai sindaci e dalle comunità locali”.

“Abbiamo abbandonato l’Aula per protesta – ricorda il gruppo dem -, di fronte a un Consiglio umiliato nel suo ruolo e trasformato in mero esecutore passivo di decisioni prese altrove. Oggi, la Corte riafferma che le regole non si cambiano in corsa e che le istituzioni non possono sottrarsi al rispetto dei principi costituzionali, della libertà d’impresa e del legittimo affidamento. La verità è che si è tentato di chiudere un impianto che produce energia da fonti rinnovabili, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Europa e garantisce occupazione stabile per decine di famiglie e coinvolge oltre 1.200 lavoratori nella filiera. Un impianto che, per di più, svolge un ruolo essenziale nella manutenzione attiva del territorio e nella prevenzione degli incendi, operando nel rispetto dei più alti standard ambientali, come confermato dai dati ufficiali dell’Arpacal e dagli studi scientifici dell’Osservatorio Ambientale. Ora si volti pagina. La politica regionale esca dalla logica degli scontri ideologici e assuma un approccio pragmatico, orientato allo sviluppo sostenibile, alla tutela dell’ambiente e al rafforzamento della filiera foresta-legno-energia. Il futuro della Calabria si costruisce con scelte concrete e partecipate, non con diktat e imposizioni dall’alto”.