Alla festa della Lega a Pontida il vicepremier ha puntato il dito contro la tv della famiglia Berlusconi: «Quando accendi, è sempre colpa nostra». Intanto a Palazzo Chigi si tratta sulle candidature regionali, ma la partita è tutt’altro che chiusa
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Il ministro Salvini e Pier Silvio Berlusconi
Ci sono momenti in cui le maschere cadono. Succede, per esempio, quando Matteo Salvini sale sul palco di Pontida e invece di colpire La7 o i giudici, spara a zero su Mediaset, la televisione di famiglia. La famiglia Berlusconi, si intende. "Quando accendi, è sempre colpa della Lega", ha tuonato. Ma il messaggio non era rivolto a Del Debbio o alla d'Urso in disgrazia. No, il bersaglio era più alto. Si chiama Pier Silvio, guida silenziosa del Biscione, oggi sempre più lontano da certe simpatie leghiste di papà Silvio.
Lo sfogo non è nato sul palco, ma covava da settimane. Mediaset, nella visione salviniana, non sarebbe più “amica”, anzi: avrebbe sposato una linea "mainstream", "salottiera", che nei talk show e nei telegiornali finisce per scaricare ogni colpa sui leghisti, anche quando parlano di piogge, scioperi o monopattini. Il fastidio è reale, ma ha anche un bersaglio politico: Antonio Tajani, che nel frattempo incassa e tace, troppo impegnato a disegnare un suo futuro da reggente di un partito dimezzato ma ancora necessario alla maggioranza.
Il tutto esplode mentre la guerra per le regionali entra nel vivo. Alla vigilia di un nuovo vertice a Palazzo Chigi, il centrodestra è più spaccato che mai. Il primo round si è chiuso con un nulla di fatto, e la regia meloniana punta ora a blindare almeno tre candidature: Puglia, Marche e Toscana. Il vero problema però si chiama Campania. E, manco a dirlo, Veneto.
In Campania la premier ha aspettato, sperando che il nome di Roberto Fico spaccasse l’asse De Luca–M5S. Ma l’intesa regge, e allora anche nel centrodestra si cerca il nome giusto. Il favorito resta Edmondo Cirielli, viceministro meloniano, uomo d’ordine e fedelissimo. Ma nelle ultime ore è rispuntato Giosy Romano, tecnico apprezzato, molto vicino a Raffaele Fitto. Nome civico, sì, ma con pedigree FdI.
Salvini, nel frattempo, ha capito che Campania e Viminale sono fuori portata. Ha mollato la presa. Il suo fortino è il Veneto, dove non vuole saperne di liste civiche targate Zaia, che secondo lui servirebbero solo a indebolire la Lega per favorire il Doge. Per questo punta tutto su Alberto Stefani, fedelissimo, o in alternativa su Mario Conte, sindaco di Treviso. Obiettivo: chiudere definitivamente l’era-Zaia e portare a casa una regione “pura”, senza cordoni ombelicali.
La premier però non molla l’osso: anche lei vuole dire la sua, magari con un candidato “civile” ma di area FdI. Sul tavolo i nomi di Raffaele Speranzon e Luca De Carlo, entrambi senatori con solide credenziali meloniane. Il compromesso? Trovare un nome terzo, magari “neutro”, ma per ora è solo fumo.
In tutto questo, il tema Mediaset torna come uno spettro. Perché non è solo questione di palinsesti. È identità. Se il telegiornale di Canale 5 tratta Salvini come fa Mentana, allora dov’è finita la destra unita?. Il leader leghista lo sa, lo sente, e a Pontida lo ha detto chiaro: "Non possiamo avere nemici anche in casa". Ma ormai la casa è cambiata. Pier Silvio guarda al centro, rassicurante, educato, salottiero, mentre Salvini urla sui gommoni e sui blocchi navali.
Nel frattempo, c’è anche la grana Open Arms. Salvini si dice sereno (“Processo politico, rifarei tutto”), ma si sente accerchiato. Dai giudici, certo. Ma anche da una certa borghesia milanese che non lo sopporta più, da un centrodestra sempre più a trazione meloniana, e da un ceto giornalistico che lo tollera solo quando serve il meme.
Alla festa di Pontida, si fa il pieno di selfie e salamelle, si brinda con la birra e si fanno i cori. Ma l’aria è pesante. E se la Lega rischia di essere ridotta a satellite, non è detto che il Capitano se ne stia a guardare. Le Regionali saranno lo stress test. Ma la vera resa dei conti è più profonda: chi comanda davvero nel centrodestra post-Berlusconi?
Per ora, Mediaset ha già scelto da che parte stare. E non è quella del Ministro dei Trasporti.