L’anno nero della sanità in Calabria: la guerra tra Governo e Regione ha lasciato solo macerie

Il decreto fortemente voluto dall’ex ministro della Salute Giulia Grillo non ha risolto i problemi ma li ha aggravati. Lo scontro con il presidente Mario Oliverio ha raggiunto livelli mai toccati prima. Intanto le aziende ospedaliere sono rimaste senza guida, il piano di fabbisogno non è stato approntato e i livelli essenziali di assistenza sono peggiorati  

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di Luana  Costa
27 dicembre 2019
14:10

Sarebbe dovuto servire a redimere la sanità regionale dalle “infiltrazioni” della politica ma il ribattezzato decreto “Salva-Calabria” si è soltanto limitato a spostare da una mano all’altra la gestione del comparto che “movimenta” più denaro tra le pieghe del bilancio regionale. Un anno esatto è durato il travagliato capitolo destinato a concludersi con il “super-commissariamento” della sanità calabra e che ha finito per aumentare la quantità di macerie che già una politica abituata ad amministrare aziende e ospedali si era lasciata alle spalle.

 


Lo schiaffo del super commissariamento

La sfida maldigerita dall’ex ministro della Salute, Giulia Grillo, risale infatti esattamente al gennaio scorso, quando il presidente della Regione nonostante gli avvertimenti decide di non rinunciare all’ultima prerogativa che ancora per legge gli era rimasta in capo: la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere calabresi. L’ultimo scampolo di potere in un comparto già sottratto alla gestione della Regione ma costato caro al governatore e pagato a caro prezzo dai calabresi. L’anno che volge al termine verrà certamente ricordato per i reparti condotti fino all’estremo limite del collasso, per le continue aggressioni al personale ospedaliero, per le proteste “incendiarie” dei precari della sanità e per le assunzioni più volte annunciate ma mai veramente compiute. Ma soprattutto per l’estrema incertezza in cui il decreto “Salva-Calabria” ha gettato la regione.

 

Il valzer delle nomine

Un valzer infinito di nomine, revoche, rinunce agli incarichi apicali di guida delle aziende, che probabilmente non era quello che l’ex ministro della Salute aveva in mente quando ha partorito la legge. L’idea era, infatti, quella di sottrarre la gestione della sanità alla longa manu della politica consegnandola alle cure di tecnici. Il risultato è stato soltanto un anno di vacatio con aziende prive di una guida stabile e lasciate nei marosi di reggenti che cambiavano volto a cadenza quasi bimestrale. L’unico turn over veramente operativo al cento per cento è stato infatti quello alla guida degli ospedali e dei presidi sanitari, susseguitisi ad una velocità tale da far perdere il conto anche ai cronisti. Una telenovela che si sarebbe anche potuta rivelare avvincente se l’effetto non fosse stato quello di chiudere reparti per la carenza di personale e ridurre al lumicino il già bassissimo livello degli standard assistenziali.

 

Che fine ha fatto il piano dei fabbisogni?

E mentre ormai a fine anno ci si prepara all’imminente insediamento (incrociando le dita!) dei nuovi commissari nominati dal governo, la Calabria e i calabresi attendono ancora la stesura del piano dei fabbisogni, fra i primi ed essenziali compiti a cui la struttura commissariale avrebbe dovuto adempiere fin dal momento della nomina per ottenere dal tavolo interministeriale la fatidica autorizzazione a compiere le attese assunzioni. Un colpevole ritardo che ha finito per riprodurre gli stessi mali a cui si cercava di porre rimedio esacerbando gli animi di quelle sacche di precariato, pur modellate a fini elettorali dalla politica, ma portate all’esasperazione proroga dopo proroga da un “supercommissariamento” certamente inadempiente e che ha prodotto quale unico effetto dirompente di mettere in mano taniche di benzina ai lavoratori in protesta o accompagnarli sui tetti degli ospedali.

 

Luana Costa

Giornalista
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