Il reportage

Natale in ospedale, nella trincea del Covid i sanitari lottano con chi rifiuta le cure e per chi sceglie la vita

Una infermiera del reparto di Malattie Infettive: «Non ho mai pensato di cambiare lavoro. Per i nostri pazienti siamo come fratelli e sorelle»

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di Luana  Costa
25 dicembre 2021
15:00

«Ieri ho fatto il turno di mattina, poi sono rientrata a casa e ho preparato la cena per i miei familiari. Ieri sera ho fatto tardissimo - racconta Mariastella Pantera, infermiera - e questa mattina sono qui, soprattutto, per i nostri pazienti. In questo momento siamo noi la loro famiglia».

Il turno di Natale

Nei reparti ospedalieri le storie non sono mai individuali ma si stemperano in un racconto collettivo, corale. L'io si scioglie in un noi: «Lo stato d'animo questa mattina non è stato dei migliori - aggiunge Rosaria Lostumbo, infermiera - perché non è facile lasciarsi alle spalle i bambini e l'atmosfera natalizia ma fare l'infermiera è una missione. Questa notte il mio pensiero è stato soprattutto per i miei colleghi del turno di notte».


Niente cenone e niente pacchetti regalo, il turno del 24 dicembre è uguale a tutti gli altri giorni dell'anno: dalle 21 alle 7 così come quello del 25 dicembre: «Non ho mai pensato di cambiare mestiere - spiega Rosaria - ho scelto di fare l'infermiera perché ho seguito una normale predisposizione. Certo, momenti difficili ci sono sempre ma non ho mai pensato di cambiare lavoro». 

La famiglia allargata

Sveglia presto al mattino, dismettere i panni di una famiglia e vestirne di nuovi: quelli della famiglia "allargata" del reparto di Malattie Infettive dell'ospedale Pugliese: «In questo anno di pandemia siamo diventati come fratelli o sorelle per i nostri pazienti, a volte anche come figli» racconta Simone Marino. «A loro pesa molto l'assenza di una famiglia accanto, soprattutto, in questo periodo dell'anno e così diventiamo come una valvola di sfogo, anche se nelle stanze entriamo bardati e non possono vederci in volto». 

Il rifiuto alle cure

Ma non tutti sono propensi a ricevere l'affetto, c'è anche chi rifiuta le cure fino alle estreme conseguenze: «È stato doloroso per me far firmare ad una paziente il rifiuto a ricevere qualsiasi cura» spiega Rosaria alludendo ad una donna convinta no vax. Ricoverata nel reparto di Malattie Infettive si è infatti opposta all'intubazione ma anche all'ossigeno: «È stato triste perché si è negata l'unica speranza di salvarsi - aggiunge ancora -. Tutti abbiamo cercato di convincerla: medici e infermieri. Ma lei era convintissima del contrario». La donne è, infine, spirata. 

I pazienti pentiti

Ma nella maggior parte dei casi chi finisce ricoverato nel reparto di Malattie Infettive, dopo aver deciso di non vaccinarsi si dichiara pentito: «Può anche capitare per disinformazione - spiega Renato Sgrò -. Una signora mi ha raccontato di non essersi vaccinata perché consigliata dal proprio farmacista. Quest'ultimo vaccinato ma solo perchè obbligato mentre la donna finita intubata, poi si è pentita di averlo ascoltato». 

«È capitato anche un altro paziente che ha detto di non essersi vaccinato per i troppi impegni di lavoro, quando infine ha deciso di vaccinarsi ha contratto il virus» racconta Mariastella che aggiunge: «Le cure diventano sempre più complesse quando si arriva alla ventilazione. In questi casi i pazienti spesso sono poco collaborativi ma noi cerchiamo sempre di persuaderli perché solo così possono guarire».

La strada verso casa

Le stanze non sono però sempre cariche di sofferenza, nella degenza 5 ci sta Martina, 22 anni di Petilia Policastro. Occhi allegri, sciarpa al collo e valigia pronta in attesa dell'ambulanza che la riporterà a casa. Il 22 dicembre ha dato alla luce un bambino: «Si chiama Carlo - ci dice accostandosi al vetro - non l'ho ancora visto, solo in una foto. Prima del parto ero preoccupata - conferma -, avevo un pò d'ansia ma è andato tutto bene. Sta bene e tra poco lo dimetteranno dopo gli accertamenti. Sono sta fortunata, adesso torno a casa ma dovrò attendere ancora qualche giorno per potermi negativizzare prima di riabbracciare mio marito e l'altra mia figlia».

La nonnina col cruciverba

Poco più avanti, i pazienti di un'altra degenza: chi è al telefono, chi legge al pc: «La permanenza non è mai facile - aggiunge Simone -. Ricordo di una nonnina di 95 anni che faceva sempre il cruciverba. Era indispensabile per lei averlo. Una donna dotata di una mente lucidissima, è guarita ed è tornata a casa». «Siamo stati fortunati ad avere questi infermieri - ci tiene a precisare il primario, Lucio Cosco -. Sono davvero eccezionali, preparati, volenterosi e dotati di una grande umanità».

Giornalista
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