Sanità, i paradossi calabresi: macchinari costosissimi e sale operatorie anni ’60

Attrezzature all’avanguardia ma mai entrati pienamente a regime e locali ospedalieri fatiscenti in cui sono costretti ad operare i professionisti: le due facce dell’emergenza sanitaria in Calabria emerse dall'ispezione dei funzionari inviati dal ministero

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di Marco  Lefosse
24 ottobre 2019
07:03

Dicevamo della comunicazione, quella grande sconosciuta alle latitudini della burocrazia calabra che – a quanto pare – ci sta facendo perdere un sacco di posti letto e di soldini in quello che è l’apparato dei servizi sanitari regionali. Anche se ci sono medici e primari che, dopo aver letto la prima parte della nostra inchiesta sui “difetti” della sanità calabrese, hanno ribadito la loro totale estraneità ai fatti rincarando la dose e imputando la malagestione delle comunicazioni dei Drg alle strutture aziendali e regionali. Insomma se i dati corretti non arrivano al Ministero della Salute la colpa sarebbe delle Asp e della struttura commissariale. Quindi, di quel “mostro bicefalo” e non dialogante che oggi gestisce la salute di noi calabresi. Sarà davvero così? Lo sapremo solo se e quando i funzionario del ministero, scesi in Calabria, redigeranno la loro relazione.

A quanto pare, però, i guai non si limiterebbero solo ai Diagnosis Related Group gestiti con ritardo. Il sopralluogo degli emissari del ministro Speranza che nei giorni scorsi hanno fatto visita agli spoke dell’Asp di Cosenza avrebbero evidenziato anche altri aspetti, difformi rispetto a quella che dovrebbe essere la regolare gestione degli ospedali e dei reparti.


 

Macchinari modernissimi ma mai utilizzati

C’è un’altra questione, infatti, rilevata dai funzionari del ministero, meritevole d’attenzione. Pare, infatti, che in buona parte delle strutture visitate, spesso fatiscenti e cadenti a pezzi, gli ispettori del Dicastero di via Ribotta si siano trovati difronte reparti o studi specialisti ospedalieri con strumentazioni che dire all’avanguardia è poco. Macchine medicali, però, che molto spesso (quasi sempre) sono sfruttate al minimo perché poi mancano gli strumenti base (e mancano anche i medici per farle funzionare). Esempio su tutti: ecocardiografi di ultima generazione, costati migliaia di euro e che potrebbero fare invidia al New York City Health (uno degli ospedali più all’avanguardia del mondo) che però non possono essere messi in funzione perché, ad esempio, manca la bottiglia di gel che attutisce gli ultrasuoni il cui costo al pubblico è poco meno di due euro.

Paradossi assurdi che accadono perché spesso gli strumenti medicali vengono acquistati con fondi di bilancio. Quelli che dovrebbero, invece, servire a coprire la spesa corrente (a comprare il gel, per intenderci).

 

Sale operatorie degli anni ‘60

Benissimo, come si comprano allora gli strumenti medicali? Anche in questo i funzionari del Ministro sono andati incontro ai loro interlocutori, “suggerendo” ai direttori delle unità operative di intercettare tutti quei bandi che servono ad ottenere finanziamenti pubblici (del ministero) volti proprio ad acquistare strumenti di ultima generazione. Bandi che a quanto pare, però, in pochi conoscono.

Ma se in alcuni ospedali ci sono macchinari invidiabili a fronte di pochi medici e ancor meno strumenti di base; in altri ospedali, invece, si registra la presenza di equipe mediche ben assortite che però sono costrette a lavorare in sale operatorie degli anni ’60. Paradossi, dicevamo, che rendono il servizio sanitario non all’altezza del suo ruolo. Speriamo, solo, che la fase due del Decreto Calabria tamponi l’emorragia e ri-suturi uno strappo abnorme dal quale escono fuori milioni di euro di debiti. Come quelli, ad esempio, che si sono prodotti perché la Calabria, negli ultimi 5 anni, non si è mai seduta a fare i conti delle contestazioni  di mobilità passiva. Un tavolo sul quale periodicamente si confrontano le regioni italiane che si scambiano “favori” sanitari. E a quanto pare, la Calabria solo per il 2018, avrebbe lasciato alla Lombardia un credito di diversi milioni per pazienti curati che, però, non hanno mai risieduto nella nostra regione. Insomma, staremmo pagando anche i debiti di altri territori italiani. Del resto, gente allegra, Dio l’aiuta!

 

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Giornalista
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