La retorica dell’emergenza rischia di far perdere di vista i drammi veri della sanità vibonese. Le telecamere di LaC Tv hanno raccolto le storie di chi pur avendo diritto all’assistenza pubblica è costretto a sostenere il costo della retta nella Rsa. Ecco cosa ci hanno raccontato
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Quando si parla di sanità nel Vibonese il rischio è che la retorica dell’emergenza infinità finisca per alterare la percezione del problema. Una sorta di assuefazione che depotenzia le parole, le disinnesca e riduce tutto alla fredda logica dei numeri, come quelli che riguardano i Lea, i Livelli essenziali di assistenza che da queste parti sono i più bassi d’Italia: appena 8,8 punti rispetto a una media nazionale di 24,5. Ma poi, a riportare tutto nella giusta dimensione, quella umana fatta di affanni e drammi, ci sono le storie. Come quelle raccolte dalle telecamere di Dentro la notizia (LaC Tv) che sono entrate Don Mottola Medical Center di Drapia per raccogliere la protesta dei dipendenti e dei familiari dei 40 pazienti ospitati nella Rsa che dà lavoro a 60 operatori.
«Sedici giorni fa ero un pezzo di legno, immobilizzata – ci ha raccontato Silvana, colpita da un’ischemia -. Oggi, dopo dieci giorni di fisioterapia riesco a muovere le braccia e fare anche qualche passo. Una giovane che ha la possibilità di lavorare nella sua terra senza essere costretta ad andare via dalla Calabria. Non è importante anche questo?». Poi si ferma e con le lacrime agli occhi lancia un appello: «La vogliamo far morire questa struttura? E con lei dovranno morire anche i calabresi bisognosi di cure? Decidetevi».
La questione è nota: nonostante il Don Mottola sia accreditato a livello regionale, i fondi che dovrebbero consentirebbe ai pazienti di essere coperti economicamente da due anni ancora non si vedono. Così, chi è ricoverato deve pagare la retta, anche se dovrebbe essere a carico del servizio sanitario regionale. Una situazione che sta portando intere famiglie alla disperazione, costringendole a fare debiti e a vendersi la casa pur di continuare a ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno.
Tra le storie che più colpiscono c’è anche quella di Carmela e Antonio D’Angelo, di Brivadi, frazione di Ricadi. La loro figlia Giovanna, 54 anni, è affetta da sclerosi multipla e costretta su una sedia a rotelle: «Ho 80 anni e percepisco una pensione di mille euro, come mia figlia invalida al 100%. Mia moglie, invece, appena 300 euro. – racconta il signor Antonio –. Non ce la facciamo più a pagare la retta. Per questo abbiamo deciso di mettere in vendita la casa. Non è una provocazione, ma la triste realtà. Ho 80 anni, vi rendete conto?».
Tra i pazienti c’è anche Francesco, da tre anni ospite del centro e costretto in carrozzina. Le sue parole sono un messaggio diretto alla politica regionale: «Sono tre anni che sono qui e so io quanto sto pagando. Mettetevi una mano sulla coscienza. Dateci i soldi che ci spettano».
La struttura accoglie anche minori diversamente abili, circa sessanta bambini con disturbi dello spettro autistico e problemi del comportamento. Gli interventi terapeutici, limitati a due ore settimanali, «sono troppo pochi rispetto ai reali bisogni». Servirebbero incontri più frequenti con le famiglie e un dialogo costante con le scuole. «Le risorse economiche sono scarse – spiega un'operatrice che chiede maggiori fondi e programmi di intervento più intensivi, «per evitare che i disturbi infantili si trasformino in disagi più gravi in età adolescenziale e adulta»
Nel corso della trasmissione di LaC Tv, sulla questione è intervenuto anche Francesco Mancuso, amministratore della Rsa, che ha lanciato un appello per i pazienti più fragili: «Penso a chi non ha la disponibilità economica e per questo rinuncia alle cure. Che fine fanno queste persone? In tre anni abbiamo assistito oltre 300 pazienti, ma tanti altri restano invisibili perché non possono permettersi le terapie».


