Il progetto è stato ideato dalla regista Ioana Păun insieme all'artista calabrese Niccolò De Napoli. Non teatro in senso tradizionale, ma una performance che dissolve i confini tra arte, scienza e inconscio collettivo
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Nell’oscurità, scopriamo di non essere osservatori separati ma partecipanti interconnessi allo stesso sogno. È da questo presupposto che nasce All Systems Collapse Tonight, il progetto ideato dalla regista e artista Ioana Păun insieme all'artista calabrese Niccolò De Napoli: una performance che dissolve i confini tra arte, scienza e inconscio collettivo.
Non più spettatori, ma cellule di un organismo onirico che respira, cambia, si rigenera ogni sera.
La domanda che li muove è antica quanto l’uomo, ma oggi suona più urgente: che cosa sognano le persone nel XXI secolo? Di che materia sono fatti i nostri incubi digitali, le nostre ansie mute, i desideri compressi di una società che dorme poco e immagina ancora meno?
Păun e De Napoli cercano risposte non nei manuali, ma nei corpi, nei volti, nelle voci che abitano le notti di ognuno. I sogni come archivio di un’epoca, come sismografo del tempo che viviamo.
Dopo un mese di residenza nel silenzio sospeso di Fardella, in Basilicata — nel Parco naturalistico Barbattavio-Guarino — il progetto ha iniziato a viaggiare come una mappa dell’inconscio europeo. Da Matera, tra le pietre della chiesa che accoglieva i primi esperimenti, a Napoli, presso Puntozero di Valeria Apicella, fino al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano. Ora, al MNAC di Bucarest, All Systems Collapse Tonight resterà in scena fino a dicembre, chiudendo il cerchio nel luogo dove la luce e l’ombra si confondono e l’arte torna a essere rito collettivo.
Ma non è teatro nel senso tradizionale. È piuttosto una soglia. Lo spettatore entra armato di una macchina fotografica Polaroid, diventa testimone e co-creatore. Prima dello spettacolo, condivide i propri sogni con gli artisti: frammenti di memoria, visioni, parole, odori. Poi un’Intelligenza Artificiale — addestrata con la consulenza della ricercatrice Teodora Szasz — rielabora quel materiale, trasformandolo in immagini, suoni, respiri. La scena prende vita da questi frammenti, e ogni sera è diversa, come diverso è il dormire di ciascuno di noi.
«Ogni mattina arrivano dei pezzi — un volto, una voce, una caduta, un volo», racconta Ioana Păun. «La sera dello spettacolo, si fondono in un unico tessuto. Come una pellicola in camera oscura, il subconscio si sviluppa lentamente: granello dopo granello, vertigini e statica crescono fino a quando un’immagine prende forma».
Ed è qui che accade la magia: l’immagine, quella che si stampa nella mente o nella foto Polaroid, non appartiene più a chi sogna, ma al sogno stesso. È un dono e una perdita, un frammento di noi restituito in altra forma.
Per una frazione di secondo, il palco esplode.
Un corpo si muove, i capelli dell’attrice Silvana Mihai brillano come scintille, gli occhi si spalancano verso l’obiettivo, un gesto resta sospeso a metà. Poi tutto torna al buio. E resta solo quella piccola fotografia nella mano dello spettatore, a provare che è successo davvero.
In un tempo dove l’immaginazione sembra un lusso, All Systems Collapse Tonight ci ricorda che sognare è ancora un atto politico. Perché i sogni non appartengono al singolo, ma alla comunità che li genera, li condivide, li interpreta. L’arte — come la notte — diventa il luogo dove possiamo tornare a essere umani insieme.
E forse è questo il senso più profondo della performance: mostrare che, anche nel crollo dei sistemi, resta qualcosa che non si spegne — la capacità di immaginare.
In fondo, siamo tutti dentro la stessa oscurità. E solo sognando, possiamo ancora riconoscerci.

