Da 56 Paesi la protesta contro l’ammissione del Cska: «Sono legati all'esercito e parte della propaganda di Putin, violano le linee guida del Comitato olimpico internazionale»
Tutti gli articoli di Sport
PHOTO
«Il fratello di quella schermitrice combatte nella mia Ucraina. E ora lei è di nuovo in pedana, sotto i nostri occhi, come se niente fosse». Con queste parole dure, la sciabolatrice ucraina Olga Kharlan torna ad accendere i riflettori sullo scontro sempre più infuocato tra sport e politica. A pochi giorni dai Mondiali di scherma in programma il 22 luglio a Tbilisi, in Georgia, esplode la protesta contro la riabilitazione di atleti russi legati all’esercito, che competeranno sotto la fragile etichetta di “neutrali”.
In una lettera aperta firmata da 447 schermidori di 56 nazioni, tra atleti in attività e ritirati, il fronte del dissenso si allarga come mai prima d’ora. Oltre 200 hanno messo nome e cognome, rompendo l’anonimato e assumendosi pubblicamente la responsabilità dell’accusa: quella di ospitare in gara “assassini vestiti da atleti”, come si legge nel documento.
Il bersaglio è chiaro: la Fie (Federazione Internazionale di Scherma), colpevole – secondo i firmatari – di aver ignorato le raccomandazioni del Cio e di aver riammesso schermidori legati direttamente al Ministero della Difesa russo, attraverso il Cska, la storica polisportiva militare. A scatenare l’indignazione, in particolare, la presenza in lista di nomi come Sofya Velikaya, oro a squadre a Tokyo 2020, tre volte argento olimpico e ufficiale dell’esercito russo. Non una semplice atleta, ma – nelle parole della Kharlan – «uno strumento della propaganda del Cremlino», che ha ricevuto onorificenze pubbliche dalle mani di Putin in persona.
Accanto a lei, altri volti noti come Yana Egorian, Olga Nikitina e Kamil Ibragimov, tutti membri del Cska e tutti di nuovo in gara, dopo tre anni di esclusione. E se nel nuoto i “neutrali” russi hanno gareggiato a Singapore sotto stretti controlli, nella scherma la decisione della Fie viene vista come una colossale forzatura. Kharlan parla senza mezzi termini di “schiaffo al Cio”: «La Fie ha violato le sue raccomandazioni scritte col sangue di oltre 650 atleti ucraini uccisi in guerra. E mentre loro muoiono, i soldati in tuta sportiva salgono in pedana».
A dar manforte alla campionessa ucraina, anche il tecnico americano Andrew Fischl, con cui ha firmato la denuncia pubblica. La stessa Kharlan, già protagonista ai Mondiali di Milano 2023 per essersi rifiutata di stringere la mano alla russa Smirnova, finì squalificata prima che lo stesso Thomas Bach, allora presidente del Cio, intervenisse per sanare l’ingiustizia.
Oggi, a meno di un anno da quella polemica, la scena si ripete, ma su scala molto più ampia. La schermitrice ucraina, fidanzata dell’azzurro Gigi Samele, ha trascinato la sua nazionale all’oro a squadre ai Giochi di Parigi. Eppure, si ritrova nuovamente a gareggiare accanto a esponenti di un esercito che ha devastato le sue terre, mentre la sua famiglia è ancora oggi a Mykolaiv, città martoriata dal conflitto.
Nel frattempo, monta la tensione anche in altri ambiti della cultura: in Italia, proprio negli stessi giorni, si prepara la contestazione contro il direttore d’orchestra russo Valerij Gergiev, uomo vicino a Putin. Ma nella scherma la questione è ancora più viscerale: qui si combatte davvero, anche se con la maschera e la divisa sportiva.
La domanda che resta sospesa, a pochi giorni dall’inizio dei Mondiali, è se il Cio interverrà nuovamente o se lascerà passare. Perché, come scrive Kharlan, “una sciabola non è mai solo un’arma. È un’estensione della mano che la brandisce. E in questo caso, della propaganda che la muove”.