In questa intervista esclusiva, il capitano amaranto Nino Barillà si apre come mai prima d’ora, raccontando la sua stagione, segnata dall’amore per la Reggina e dal rapporto speciale con la tifoseria. Dal legame fraterno con Nino Ragusa, compagno di mille battaglie, all’esultanza liberatoria di Momo Laaribi che ha risvegliato emozioni profonde, Barillà riflette sul ruolo cruciale del patron Ballarino e sulla solidità costruita in società. 

Non mancano le curiosità sulle tentazioni di mercato e la voglia di vedere tornare a casa altri figli del Sant’Agata. Infine, un tocco personale con la sua famiglia: il piccolo Giuseppe, erede del talento e della passione amaranto e il sogno di un futuro da direttore sportivo che parte da un presente di dedizione totale.

Capitano, partiamo dal presente: come sta, soprattutto come sta il suo ginocchio?
«Il mio ginocchio è un pochino ammaccato, però al momento va tutto bene. Ora con un pochino di riposo si sistema tutto. Devo dire che ci sono stati i giorni più sofferenti».

Con la sua esperienza, come giudica la gestione della prima parte di stagione con Pergolizzi? Cosa, secondo lei, non ha funzionato?
«Sicuramente all’inizio non è mai semplice, soprattutto quando una squadra deve vincere. Mancava un pochino di amalgama del gruppo, un po’ di serenità. Diciamo che poi, man mano che sono passate le giornate, questa voglia di fare e di dimostrare chi siamo è venuta fuori. E quindi alla fine è stata una cavalcata bella».

Ha un aneddoto che racconta bene il legame che si è creato nello spogliatoio?
«Noi fin da subito ci siamo detti che qualsiasi cosa si diceva o si riportava da fuori, dentro lo spogliatoio non doveva entrare niente. Perché dentro lo spogliatoio siamo noi, lo viviamo h24. Quella è la nostra casa. Tutti i ragazzi sono riusciti a formare una famiglia, dove anche nei momenti di difficoltà ci si diceva tutto, come nelle grandi famiglie».

C’è un momento di questa stagione che porterà con sé più di altri? Un gol, un episodio, uno sguardo?
«Sembrerà strano, ma un momento bello è stato l’ultima giornata a San Cataldo. Ho guardato negli occhi i miei compagni dopo aver saputo del pareggio del Siracusa e ho visto passione e amore verso quello che poteva accadere. È un attimo che mi ha segnato profondamente».

Momenti diversi, ma l’esultanza di Laaribi dopo il gol contro l’Enna quanto le ha ricordato il suo gol contro la Juve?
«Sicuramente Momo è un ragazzo meraviglioso e tutto quello che fa lo fa col cuore. L’esultanza è stata un segno di liberazione. Anche lui ha passato una prima parte di stagione in cui era stato messo un po’ da parte, ma non si è mai arreso. Ha sempre lottato ed è sempre stato positivo dentro lo spogliatoio. Infatti tutti i compagni gli vogliono bene. Quando fai il primo gol, l’emozione è tanta e fai fatica a controllarti. Ricordo la mia esultanza contro la Juventus… ringrazio i miei compagni che mi hanno buttato giù, perché sennò magari continuavo a correre per il campo».

Che cosa le ha lasciato questa stagione, dal punto di vista professionale e umano?
«Mi ha lasciato tanto. Ho rivisto la mia gente allo stadio, la gente che ama la Reggina, che si è immedesimata in tutti noi. Questo è stato motivo d’orgoglio. Non è facile riaccendere la voglia in una squadra che milita in Serie D. Soprattutto nella cavalcata finale, abbiamo avuto una spinta in più: la nostra gente».

Quanto può contare ripartire da questa base per la prossima stagione?
«Sicuramente le basi devono essere importanti. Senza basi si rischia di fallire o di illudere le persone. Tutto quello che è stato fatto dall’anno scorso a oggi è stato un crescendo. La società ha mantenuto gli impegni. Quest’anno abbiamo lottato fino all’ultima giornata per vincere il campionato. Non ce l’abbiamo fatta, ma abbiamo ancora una piccola speranza: il ripescaggio. Ad oggi siamo in D e dobbiamo pensare che non possiamo più permetterci di sbagliare».

Ha un rapporto speciale con mister Trocini.
«C’è sempre stata stima reciproca. Entrambi abbiamo il sogno di raggiungere la categoria superiore e quando facciamo una cosa, la facciamo con tutto noi stessi. Lui ha dimostrato di essere preparato e nei momenti di difficoltà ha saputo trasmettere la voglia di lottare. Si è dedicato con tutto se stesso a noi e spero che il percorso continui insieme».

Che rapporto ha con Nino Ragusa, amico fraterno e compagno di squadra?
«Nino ha grande personalità, è un figlio di Reggio. La nostra amicizia, anche con le rispettive famiglie, la portiamo in campo. Abbiamo una certa età, quindi ci diamo una mano a vicenda».

Ogni giorno condivide lo spogliatoio con ragazzi legati a Reggio come Lagonigro, Adejo, Porcino, Laaribi, Girasole. Che sensazione le dà?
«Loro sono il cuore pulsante dello spogliatoio. Sanno cosa vuol dire la Reggina per Reggio Calabria. Avere persone che la pensano come te, nei momenti di difficoltà, rende tutto più facile».

Pensa di aver unito ambiente, società, tifosi e spogliatoio?
«Mi sento un portavoce. Parlo con la curva, con il mister, con la società. Cerco di portare i pensieri della squadra. Siamo in trenta e mettere insieme trenta teste non è semplice. Ma avendo un gruppo meraviglioso, non abbiamo mai avuto problemi. Tutto si è risolto tra di noi. La nostra gente l’ha capito e ci ha spinto fino alla fine».

Che cosa direbbe a un giovane che sogna di indossare la fascia da capitano della Reggina?
«Indossare la fascia non è mai facile. Devi dare l’esempio in tutto. L’umiltà fa la differenza. Non esiste categoria, non esiste mancanza di rispetto. Devi essere il primo e anche imparziale. Una parola di troppo può far male. La fascia è un sogno che avevo anch’io da bambino, e spero che i ragazzi con me oggi realizzino lo stesso obiettivo».

Ha vissuto tanti momenti speciali con questa maglia. Qual è il ricordo più bello?
«Ce ne sono tanti. Ho vissuto tutto della Reggina, momenti belli e meno belli. Ma quello che mi ha lasciato più di tutto è l’amore per questa maglia. Sono tornato non per la categoria, ma per riportare la squadra dove merita. E questo resterà il mio obiettivo prima di smettere.»

Contro la Scafatese la sua uscita dal campo è stata omaggiata dallo stadio. Che emozione è stata?
«Ricevere applausi dalla propria gente è bellissimo. Ma vanno girati a tutti i miei compagni, perché senza di loro non avrei fatto nemmeno 10 gol. È stata una stagione di trasporto continuo. I loro occhi, ogni partita, non mollavano un centimetro. Questo mi ha dato forza.»

A Paternò il discorso della curva è stato un vero manifesto d’amore. Che significato ha avuto per lei e per il gruppo?
«È stato un momento bellissimo. I ragazzi della curva ci hanno richiamato dopo essere entrati negli spogliatoi, volevano esprimere il loro pensiero. Ci siamo sentiti coccolati

Quanto è stato difficile adattarsi ai campi della Serie D? Quale esperienza l’ha segnata di più?
«Quando giochiamo al Granillo non sembra nemmeno Serie D. Ma fuori casa si trovano campi difficili, però non ci siamo mai lamentati. L’umiltà fa la differenza, e noi non ci siamo mai tirati indietro.»

La reazione al giallo di Acireale è stata lo specchio del suo legame con la Reggina.
«Col mister ci siamo parlati il lunedì prima della partita. Gli avevo detto che volevo riposarmi, ma lui mi ha detto che era una partita importante. Ho dato la disponibilità, poi all’ultimo minuto una palla senza senso… ho sbagliato valutazione.»

250 presenze con la maglia amaranto. Davanti a lei solo Giacchetta, Poli e Cozza. Cosa rappresenta per lei questa statistica?
«Le dico la verità: non seguo le statistiche. Non ho mai pensato al personale. Metto sempre la squadra al primo posto. Che vengano riconosciute certe cose fa piacere, ma sinceramente non ci penso

Ha mosso i primi passi al Sant’Agata. Che sensazione prova ogni volta che varca quel cancello?
«È sempre emozionante. Sono partito dall’ultimo campo e sono arrivato al primo, dove si allenava la prima squadra. Ho avuto la fortuna di imparare da grandi calciatori. Per fare questo mestiere servono sacrificio, fortuna, e soprattutto umiltà.»

Guardando al futuro: immagina un percorso da direttore sportivo? Ha ancora sogni da realizzare con questa maglia?
«Sì, ma non ci penso ancora. Mi sento bene e voglio continuare. Voglio riportare a tutti i costi la squadra tra i professionisti. Una volta fatto questo, penserò al dopo. Ora serve ancora il campo.»

Si dice che ogni tanto alzi il telefono per convincere qualche giocatore a venire a Reggio. Conferma?
«Se posso dare una mano, sono il primo. Con Ciccio Cosenza ci ho provato, ma ha avuto problemi personali. Quando c’è di mezzo la famiglia, non si discute.»

Ci sono altri figli del Sant’Agata che vorrebbero tornare, uno su tutti: Gigi Canotto.
«Vediamo… se i nostri direttori hanno bisogno, io ci sono. Ma penso che abbiano costruito qualcosa di importante. Al momento servo più da calciatore, poi si vedrà. Gigi ama la Reggina, questo è sicuro

Imprenditore, calciatore, papà, futuro direttore sportivo. Se lo sarebbe immaginato così, il suo percorso?
«Ho messo le basi per arrivarci e sono contento. Ho una moglie meravigliosa, due figli splendidi. Cerco di trasmettere loro il valore del sacrificio. E mi godo anche i momenti belli, come la mia piccolina che ha iniziato danza…»

E suo figlio Giuseppe? In tanti parlano molto bene di lui a livello calcistico, nonostante sia ancora molto giovane…
«Devo stare attento con lui, perché ha questa voglia matta di imitare papà in tutto e per tutto. È bellissimo da vedere, ma io gli dico sempre che deve essere sé stesso. Io sono io, lui è lui. L’importante è che si diverta, che giochi con il sorriso, senza sentirsi addosso il peso del cognome. Anche se, lo ammetto, quando lo sento chiamare “Barillà” pure al campo, un po’ mi emoziono…»

Ha parlato del ripescaggio. Come valuta questa ipotesi? Ci crede davvero?
«Le dico la verità: non ci penso. Se ne sentono di tutti i colori. Sperare nelle disgrazie altrui non mi piace. Come ha detto il patron Ballarino, la società è pronta e aspetta solo la chiamata. Io aspetto con loro.»

Ha conosciuto da vicino il patron Ballarino. Che bilancio fa di questa società?
«Col patron ci sentiamo quasi ogni giorno. È una persona per bene, sta mettendo il cuore in tutto ciò che fa. Ha mantenuto ogni impegno: il centro sportivo, il marchio, lo store. Ha allestito due squadre e non si è mai tirato indietro. È sempre stato vicino a noi, anche nei momenti più difficili. Tanto rispetto per persone così.»

Parma e Monza: quanto l’hanno segnato queste esperienze?
«Parma è stata la parentesi più bella della mia carriera. Ho vissuto momenti importanti, conosciuto persone meravigliose. Abbiamo vinto la B e fatto due anni di Serie A sfiorando l’Europa. Era un gruppo forte, un legame incredibile con il pubblico. Come succede a Reggio.»

Nino Barillà è il custode di un’identità, il ponte tra passato e futuro, il volto di una rinascita che ha preso forma tra fatica, amore e appartenenza. «Riportare questa squadra dove merita non è solo un obiettivo sportivo, è una missione che sento dentro. Voglio farlo da calciatore, ma prima di tutto, voglio farlo da reggino». Con gli occhi di chi ha vissuto tutto e non ha mai smesso di crederci.