Destra o sinistra non cambierà nulla: in Calabria equilibri di potere resteranno immutati

Occhiuto alla testa della peggior destra di sempre marcia verso una vittoria scontata grazie al Pd di Graziano e all’armata Brancaleone della sinistra alternativa di de Magistris e Oliverio. Intanto un nutrito stuolo di parenti “di” sanciscono la proprietà dei partiti dei soliti e traversali “casati”

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di Pasquale Motta
4 settembre 2021
20:27
I parenti
I parenti

Alla luce del quadro, ormai ufficiale, che è venuto fuori dalla presentazione delle liste e dei candidati a Presidente della regione Calabria, il candidato del centrodestra sembra il favorito e, ciò, al netto dei sondaggi farlocchi propinati dal Pd di Graziano&Boccia.

Il Pd di Graziano e Boccia e la sinistra veri alleati del centrodestra

Il merito di ciò, alla luce del papocchio venuto fuori dalla galassia civica-centro-sinistra-indipendente, va ascritto ai massimi responsabili dei finti oppositori del centrodestra calabrese. Da questo punto di vista il capogruppo di FI e neo candidato del centrodestra unito, una volta eletto, dovrebbe riservare nella sua giunta dei “posti d’onore” al commissario regionale del Pd calabrese Stefano Graziano e al responsabile degli enti locali nazionale dello stesso partito, Francesco Boccia, plenipotenziari di Enrico Letta a sud del Pollino.


Sono loro i veri protagonisti della probabile elezione a Presidente del candidato del centrodestra. Lo squallido epilogo della presentazione delle liste Pd nella circoscrizione centro ne rappresenta la conferma plateale. Oltre al Pd e al solido aiuto del suo amico Boccia, Occhiuto ha inoltre potuto contare sul solido “appoggio indiretto” del resto dell’armata Brancaleone della sinistra che si presenterà in rigoroso ordine sparso per “contrastare” il centrodestra: de Magistris e Oliverio. Attori principali di quella che potremmo definire la diaspora degli alternativi (a trucco) al centrodestra.

Il popolo del centrosinistra calabrese, mai come questa volta, si ritroverà di fronte una rappresentanza che, per la loro irresponsabilità (definizione educata) andrebbe punita ed elettoralmente decapitata. A cominciare dal sindaco di Napoli e dal suo stuolo di seguaci composto da rivoluzionari da salotto, di “resistenti” del nulla, di “solidali” del proprio ego smisurato, di parolai rossi, verdi, giacobini e manettari e di storici tafazzisti di professione, la cui massima espressione di godimento, piuttosto che, un obiettivo di governo, sembrerebbe essere rappresentata dal canto di “bella ciao” a pugno chiuso ad ogni occasione buona.

Populismo dannoso. Inutile tanto quanto quello giallo e di destra. Roba da far rivoltare (e vomitare) ogni partigiano nella tomba. E mentre loro cantano “bella ciao”, Spirlì e la peggior destra di sempre sghignazzano e governeranno indisturbati. La destra calabrese, dunque, per la probabile vittoria del 3 e 4 ottobre, dovrà appuntare al petto di questa pseudo sinistra e all’ex Presidente della Regione, una medaglia di ringraziamento. Quest’ultimo, comunque, per onestà intellettuale, è stato l’unico a lanciare appelli al Pd e al centrosinistra fino all’ultimo giorno utile, affinché si ripartisse da un approccio diverso, appelli sistematicamente lasciati cadere nel vuoto per i veti e i contro veti all’interno dei democrat.

Occhiuto incapace di rinnovare il centrodestra

Fatta questa premessa sui veri alleati del candidato del centrodestra, non sfugge a nessuno tra gli osservatori più attenti, che Occhiuto cammina senza particolari ostacoli verso l’elezione a 17° presidente della Regione Calabria. Dalla sua parte, infatti, più che la politica e il reale consenso del popolo del cdx calabrese, prevale la matematica. La frammentazione dei potenziali avversari rende matematicamente vincente il blocco che sostiene il capogruppo di FI alla Camera. Occhiuto non trascina, vince per inerzia. Grazie al fatto che i suoi avversari camminano in ordine sparso. L’esponente politico cosentino è un candidato senza appeal. E tutti sanno bene, soprattutto nel centrodestra, che avrebbe perso con qualsiasi altro candidato unitario del centrosinistra.

La sua debolezza politica è altrettanto evidente. È incapace di offrire una visione affascinante della governo della Regione. Finanche gli slogan che conia, rendono poco credibile la sua leadership. Nella sua sobria e alquanto sottotono campagna elettorale, lancia concetti triti e ritriti, stanchi, usurati, utilizzati in passato dai suoi predecessori sia di destra che di sinistra. Occhiuto continua a sostenere che lascerà il segno e che, visto la sua esperienza in ruoli nazionali, non si lascerà condizionare né da gruppi di potere interni né esterni. Prima di lui, sostanzialmente, avevano sostenuto più o meno la stessa cosa, sia Loiero che Oliverio.

Quest’ultimi, per esempio, annunciarono solennemente che avrebbero rivoltato la regione come un calzino. Abbiamo visto come è andata a finire. Mario Occhiuto, se avesse voluto incidere, avrebbe innanzitutto tentato di cambiare il centrodestra. Arginare le lobby di potere interne alla sua coalizione che da Catanzaro a Cosenza fanno il bello e il cattivo tempo da almeno 4 lustri. Considerato la vittoria quasi certa avrebbe potuto permetterselo. E, invece, sul quel fronte, non è cambiato nulla. Tutto rimane uguale. Immutato.

L’unica novità di Occhiuto, è il fatto che, per la prima volta, un esponente di Forza Italia (cioè lui) abbia esaltato, invece che dileggiare, lo strumento del “vaglio” delle candidature della commissione antimafia, strumento che, invece, oggi viene considerato superfluo dalla Procura, dal Presidente della commissione antimafia e, addirittura, per la prima volta quasi ignorato dal Pd. La verità è che gli equilibri di potere di questa Regione andranno avanti sia a destra che a sinistra con le dinamiche di sempre.

Il “ familismo amorale” della politica calabrese

Una di queste dinamiche, a metà degli anni Cinquanta, venivano definite dall’antropologo statunitense Edward C. Banfield: “familismo amorale”. E, infatti, se Occhiuto può affermare di aver costretto al passo indietro alcuni storici pescecani del centrodestra calabrese come Pino Gentile, Claudio Parente, Ennio Morrone, è altrettanto certo, che tali casati sono ampiamente rappresentati con tanto di candidature nelle liste del centrodestra. Silvia Parente figlia di Claudio, Katia Gentile figlia di Pino, Luciana De Francesco moglie del consigliere regionale uscente Luca Morrone. E ancora, la stessa famiglia Occhiuto non si è limitata alla mera rappresentanza del candidato a Presidente, il sindaco uscente di Cosenza e fratello del candidato a Presidente Occhiuto, infatti, ha imposto il cognato, Piercarlo Chiappetta.

A ciò si aggiunga Flora Sculco figlia di Vincenzo, radicati su Crotone e crotonese. E, d’altronde, Roberto Occhiuto non avrebbe potuto permettersi di contrastare i clan politico-familiari del centrodestra di cui esso stesso fa parte. Niente di nuovo, in quanto a “familismo amorale”, neanche sul fronte del centrosinistra, che vede candidata nel Pd, nella lista della circoscrizione centro, Aquila Villella, cognata della candidata a Presidente Amalia Bruni. Interrogati dalla stampa sul punto, Occhiuto ha sostenuto che «il fatto che non si possa fare politica perché un familiare ha fatto politica prima mi sembra inconcepibile», risposta simile anche quella della ricercatrice lametina. Dimenticando entrambi che, in politica, esiste un criterio etico che dovrebbe accompagnare le decisioni dei dirigenti e che si chiama opportunità.

Non sappiamo se il concetto di familismo (amorale o meno) sia legato al fatto che il voto politico nella nostra regione sia strettamente clientelare, legato al favoritismo personale, piuttosto che, all’interesse pubblico, è vero però che, spesso, in questa nostra complicata terra, chi tenta di spendersi per il bene pubblico, in alcuni casi, finisce per essere inviso all’opinione pubblica, accusato di malaffare e finanche di doppiogiochismo. Insomma in alcuni casi estremi, criminalizzato. Scrive Banfield: «In una società di familisti amorali soltanto i funzionari si occupano della cosa pubblica, perché essi soltanto vengono pagati per questo. Che un privato cittadino si interessi seriamente a un problema pubblico, è considerato anormale e perfino sconveniente».

È l’inversione del paradigma del valore del bene comune. E, d’altronde, i poteri forti e occulti in questa regione sono come i fili dell’alta tensione, interrati e senza mappa, profondamente occulti. Il rischio per le persone libere, autonome, in qualsiasi funzione sociale o politica che operano, è quello di potersi trovare nella condizione di calpestare uno di questi cavi dell’alta tensione e rimanerne fulminato. La vendetta dei gruppi di potere in tal senso è feroce.

I poteri occulti di questa regione, infatti, sono in grado di tenere le fila sia dei campioni della legalità che dei gruppi più propensi al malcostume politico. Alcune volte, proprio coloro che si ergono a paladini della lotta contro le masso-mafie, le massonerie e le logge deviate che infestano le istituzioni della Calabria (nessuno esclusa), sono utilizzati e manipolati (inconsapevolmente o meno) e usati come killer per abbattere anche la buona politica. Logge trasversali, deviate o dritte governano i processi di questa terra, decidendo quali forze affossare, promuovere, rilanciare.

Il resto sono chiacchiere, anzi, le anime belle della politica, della cultura, i paladini e i protagonisti di nobili e/o ignobili battaglie, rappresentano semplicemente l’orpello, la cornice di quadri dipinti il più delle volte da mani occulte. La complessità del governo di questa regione passa attraverso la sconfitta di queste dinamiche. Su tutto ciò, intellettuali e cosiddetta società civile di questa regione farebbero bene ad interrogarsi, invece di produrre parole e slogan utili per convegni ma che non incidono neanche un millimetro sull’avanzamento di questa regione. Per sopravvivere a questo sistema, soprattutto per alcuni gruppi legati alla politica, al potere, alle grandi burocrazie istituzionali, per i grandi gruppi imprenditoriali legati alle commesse pubbliche, c’è un solo strumento: i clan familiari.

Il clan familiare, paradossalmente, diventa una risposta e a sua volta sistema, come un gatto che si morde la coda. Su tutto ciò, l’antropologo Edward Banfield, il teorico del familismo amorale che nel 1954 si trasferì in un borgo della Basilicata per uno studio su queste dinamiche sociali trasse più o meno queste conclusioni: «in alcune comunità, specie del Mezzogiorno d'Italia, in conseguenza della strutturale assenza di infrastrutture e servizi, si accompagna una visione radicalizzata dei vincoli parentali. Nuclei familiari impermeabili e autoreferenziali, che si chiudono all'esterno, si difendono. Creano microcosmi di autarchia e diffidenza. Puntano a massimizzare i vantaggi materiali di breve termine della famiglia supponendo che gli altri si comportino allo stesso modo».

Una teoria, quella di Banfield, fortemente contrastata, eppure, dopo quasi 70 anni dalla sua pubblicazione, mantiene un suo fondamento alle nostre latitudini. E, forse, continua ad essere l’unica, o meglio, una delle poche chiavi di lettura sull’immutabilità delle dinamiche del potere in questa Regione. La Calabria che verrà, purtroppo, alla luce delle liste presentate, difficilmente cambierà. Tutto rimarrà immutato e, paradossalmente, neanche secondo lo schema del gattopardismo classico del «tutto cambia per non cambiare niente», no, qui, purtroppo, ancora non è cambiata nemmeno l’apparenza.

 

Giornalista
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