Green pass, il Paese rischia di finire nel baratro mentre l’Italietta politica si becca come i capponi di Renzo

Con tutto il rispetto per i costituzionalisti "de' noantri” che in queste ore evocano la Carta per giustificare l’ingiustificabile, sulla certificazione verde non credo che uno Stato serio possa cedere a un ricatto assurdo e minoritario (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pasquale Motta
14 ottobre 2021
12:08
Illustrazioni del vignettista austriaco Gerhard Haderer
Illustrazioni del vignettista austriaco Gerhard Haderer

Dunque ricapitolando: sulla questione del green pass, dei vaccini e sulla gratuità dei tamponi, una minoranza di cittadini si prepara a bloccare il paese. E già perché di questo si tratta, considerato che, ormai, oltre l’80% dei cittadini ha aderito alla campagna vaccinale. Una minoranza che intende imporre alla stragrande maggioranza degli italiani il loro punto di vista. Tutto ciò vi sembra democratico? A me, onestamente no, anzi mi sembra ingiusto e prevaricatorio.

Alcuni lavoratori portuali, un quinto degli operatori della sicurezza, ai quali si starebbero aggiungendo alcuni autotrasportatori, hanno deciso di non vaccinarsi e pretendono che sia lo Stato (cioè i cittadini) a pagare i tamponi con i quali sopperire alla loro indisponibilità alla vaccinazione e, quindi, all’impossibilità di ottenere il green pass. Una minoranza si accinge a prendere in ostaggio un’intera nazione. Questa è la nuda verità. Il resto sono chiacchiere. Magari alimentate dal teatrino della strumentalità politica. La specialità italiana.


Questi cittadini, questi lavoratori, questi agenti delle forze dell’ordine hanno deciso di non vaccinarsi? È un loro diritto. Quello che invece non è un loro diritto, è contagiare gli altri. Qua non siamo di fronte al concetto dell’affermazione della “libertà di cura”, no, qua ci troviamo di fronte ad una emergenza sanitaria che prevede un contagio. Green pass e vaccini sono misure di contenimento e prevenzione del contagio.

Se un cittadino, per le sue convinzioni, per le sue paure, giustificate o meno, non intende farsi carico di aderire alle misure che ci consentono di provare a tornare alla normalità, seppur non risolutive del problema, non si comprende per quali motivi la “società” dovrebbe farsi carico del  costo della libertà di principio di questi cittadini, considerato che  già la società sostiene il costo della loro assistenza sanitaria.

Con tutto il rispetto per i costituzionalisti de “no antri” che in queste ore evocano la Costituzione per giustificare l’ingiustificabile, non credo che uno Stato serio possa cedere a un ricatto assurdo e minoritario. L’idea dell’assalto alle sedi della democrazia da parte di una sparuta minoranza che fa “massa critica” in una piazza, appartiene ad una visione autoritaria del rapporto con le altre istanze del paese e che una democrazia sana e liberale  non può assolutamente tollerare. Ciò vale anche per quei lavoratori che in queste ore minacciano di bloccare il paese. Container che non partono e merci che non riempiono gli scaffali dei supermercati, l’impossibilità di fare il pieno, il rifornimento di carburante, ma anche il blocco nei cantieri edili a causa della mancata distribuzione delle materie prime sono alcuni dei proiettili in canna che queste categorie intenderebbero usare.

In queste categorie di lavoratori, ovvero portuali e alcuni autotrasportatori, il tasso degli addetti senza la prima vaccinazione supera il 30% del totale. “Su 1,5 milioni di addetti, sono 400mila i dipendenti nelle aziende dei trasporti e altrettanti impiegati nelle attività di magazzinaggio che non hanno il Greenpass”. A ciò si aggiunga un’ulteriore problema, nel settore degli autotrasporti da tempo si registrano difficoltà in Italia nel reclutamento degli autisti. Il settore infatti si è rivolto all’Europa dell’Est, proprio dove si riscontra la problematica maggiore sul fronte vaccinale. Sarà un problema effettuare i controlli per gli autisti bulgari, polacchi, romeni e bosniaci. Lavoratori che arrivano dai Paesi con la percentuale più bassa di vaccinati in Europa: si va dal 15% della Bosnia al 29% della Romania.

È evidente dunque, che sia il ricatto che le difficoltà, debbano essere affrontate dal governo con una linea di fermezza. Una fermezza che presupporrebbe una risposta unitaria da tutta la politica, dalla maggioranza e dall’opposizione. In altri tempi, ma soprattutto nelle democrazie liberali mature, si sarebbe invocata la responsabilità nazionale. Ma noi siamo l’italietta della caciara politica h24 in un clima di campagna elettorale costante. La responsabilità nazionale è un linguaggio che alle latitudini della politica nostrana è un valore disconosciuto. Siamo il paese dei capponi di Renzo che continuano a beccarsi anche nella sventura. L’italietta della terza repubblica che di fronte alle difficoltà invece di essere solidali e di fare fronte comune con coloro che si trovano nella nostra stessa situazione, tende a “beccarsi” tra di loro, accusandosi a vicenda degli insuccessi, cercando di sfuggire alle proprie responsabilità, cercando di mettere in evidenza i propri pregi in contrapposizione con i difetti altrui, cercando di “chiamarsi fuori” anche se, come succede ai capponi, tutti sono “dentro” in pieno.

In tal senso l’atteggiamento più incomprensibile è quello delle forze politiche che, almeno secondo i sondaggi, sono le più importanti del paese: Lega e FdI. Salvini e Meloni non riescono a comprendere, accecati come sono dalla loro frenesia elettorale, che fare come i capponi di Renzo non è solo dannoso, è decisamente stupido. E, anche il Pd non scherza. La strategia per rispondere agli assalti alla Cgil non può essere quella della mozione parlamentare ma semplicemente quella della via giudiziaria. La caciara sollevata su questa impostazione condita poi dallo scivolone di Provenzano si poteva evitare. Si lasci alla magistratura l’onere di accertare se Forza Nuova, sia una forza politica in contrasto con i dettami costituzionali che vietano la ricomposizione dei partiti fascisti. La mozione serve solo ad alimentare il clima della contrapposizione politica.

L’immaturità politica con cui i partiti stanno affrontando i problemi che abbiamo davanti, dunque, è disarmante. E riguarda tutto e tutti. Senza distinzioni di schieramento. Altro tasto dolente è la capacità della tenuta dell’ordine pubblico. È evidente che sabato scorso si sono registrati approssimazioni e sottovalutazioni del clima di quella piazza di manifestanti. La ministra Lamorgese nel question time alla Camera è stata poco convincente, anche se, si è detta pronta a valutare lo scioglimento di Forza Nuova. La Lamorgese non è entrata nel merito delle sottovalutazioni e degli errori che hanno accompagnato l’assalto alla Cgil e i cortei arrivati fino ad assediare Palazzo Chigi, riservandosi di spiegare tutto il 19 ottobre, perché  ancora non avrebbe ricevuto tutte le relazioni della polizia e del prefetto. Dichiarazioni che hanno aperto un’autostrada agli attacchi di Giorgia Meloni, che l’ha accusata addirittura di aver “volutamente permesso” quanto accaduto e ha parlato di “strategia della tensione”. Un’esagerazione quella della leader di FdI, che comunque non cancellano le sottovalutazioni e gli errori del ministero degli Interni.

Questo è il clima alla vigilia dell’ora X dei Grenpass. E, tuttavia, forse dopo anni a Palazzo Chigi abita una persona seria: Mario Draghi. Lucido. freddo. Forgiato all’emergenze planetarie della BCE. È consapevole che un passo indietro, anche minimo, farebbe crollare tutto l’impianto, una figuraccia che il presidente del Consiglio non intende fare. Meglio affrontare il non quantificabile caos a cui si rischia di assistere da domani, quando scatterà l’obbligo di Green pass per tutti i lavoratori. Poi si vedrà. La democrazia, è in momenti come questi che ha bisogno di tutte le forze migliori per essere difesa e, per fortuna, l’attuale premier rappresenta una di queste eccellenze.

In uno Stato mal governato non può esservi giustizia. Per ristabilire il primato della politica  ci vogliono governanti abili, capaci di decisioni coraggiose in situazioni difficili. A causa della trasformazione sociale intervenuta per il ruolo centrale dei media della rete, le istituzioni democratiche stanno inesorabilmente scivolando verso l’antica “democrazia diretta” e per evitare che la stessa si trasformi in dispotismo, le classi dirigenti devono essere: 1) le migliori espressioni professionali e culturali del paese, competenti (e affinché lo siano, deve esserlo anche chi le vota); e 2) legittimate dal riconoscimento popolare. Senza le istituzioni della democrazia “rappresentativa” (sempre più indebolita) ad operare da filtro, gli elettori hanno responsabilità che esigono competenze. A rischio è la stessa democrazia. La fase che stiamo vivendo oggi, è uno dei banchi di prova di questa inevitabile trasformazione della nostra democrazia. I partiti e i loro leader dovrebbero interrogarsi su queste questioni in maniera costruttiva, piuttosto che fare la figura dei “capponi di Renzo”.

Giornalista
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