Il Salvini di governo vede vacillare la sua leadership sotto i colpi di Giorgetti e Meloni
L’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi, la scelta di Fdi di restare all’opposizione e il malcontento dei governatori del Nord sono tra le principali cause del momento negativo del leader del Carroccio che però può ancora risalire la china
É strana la politica. É imprevedibile. Le dinamiche che possono sembrare le più logiche sono assaltate dalle molteplici variabili sempre dietro l’angolo. Fino a qualche mese fa la marcia di Salvini verso la conquista di Palazzo Chigi sembrava inarrestabile. I sondaggi crescevano e la leadership nel centrodestra andava consolidandosi. Oggi il leader della Lega è in difficoltà sia esterna che sul fronte interno. Paradossalmente la caduta del governo Conte e la liquidazione del governo giallo-rosa, ha coinciso con la battuta d’arresto del leader del carroccio a cui stiamo assistendo in questi mesi. La marcia verso la premiership del leader della lega, non è più cosi certa. Diverse le cause e gli errori che hanno determinato la frenata, ma tre fattori sono apparsi determinanti: 1) la messa in campo da parte del Presidente della Repubblica di un premier forte e di prestigio come Mario Draghi; 2) l’entrata della Lega nella coalizione di governo; 3) la scelta di Giorgia Meloni di collocarsi all’opposizione.
La gara Meloni - Salvini
Da allora quello che è successo è abbastanza evidente. La Meloni, allineata alla peggior destra populista, antieuropeista e sovranista d’Europa e del mondo così come lo era Salvini prima di allinearsi al governo Draghi, ha radicalizzato la sua opposizione al governo, concentrandosi sulla guerra ai vaccini, al green pass e ai provvedimenti del governo Draghi, con l’obiettivo di trovare spazi elettorali in quel blocco sociale e, soprattutto, erodendo consensi al blocco leghista. Matteo Salvini ha visto così restringere il terreno sul quale aveva scorrazzato e incassato consensi negli ultimi anni. Un populismo cinico che aveva cavalcato le paure degli italiani sul problema dell’immigrazione, la Fornero e tanto altro. La campagna ben orchestrata dalla Bestia, la società di comunicazione social di Luca Morisi, fruttò bene: alle elezioni europee la Lega arrivò al 34,3% e, successivamente, aveva registrato un ottimo risultato anche alle amministrative del 2020.
Lega: il partito di lotta e governo
Il nuovo quadro governativo cambiò la situazione politica. Salvini, per arginare l’assalto della Meloni, per qualche mese ha cercato di resistere, tendando di trasformare la lega, in “partito di lotta e di governo”. In consiglio dei ministri si approvavano i provvedimenti e successivamente venivano contestati nelle piazze e nei talkshow. Una tattica che si è rivelata un bluff dal fiato corto. Un leader coriaceo e imperturbabile come Mario Draghi, infatti, ha gestito il movimentismo di Salvini con grande distacco e fermezza, non cedendo mai agli assalti demagogici e di piazza. Tuttavia, una tale linea ha cominciato a produrre nella Lega tensioni e dissensi, in particolare, nella componente di Governo e dei governatori. A cominciare dagli uomini forti delle istituzioni: il Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, e il governatore del Veneto Luca Zaia. Sono loro, infatti, che ad un certo punto, hanno stoppato le posizioni radicali del segretario della Lega su vaccini, no vax e green pass.
Il resto delle difficoltà del leader della lega, sono scaturite dalla guerra di posizione ingaggiata con la Meloni. Una guerra a colpi di sondaggi e di punti percentuali che salgono o scendono a secondo delle situazioni. Il tutto in prospettiva della leadership futura del centro destra. Sullo sfondo: palazzo Chigi. A farne le spese la campagna elettorale per le amministrative. La scarsa lucidità nella scelta dei candidati sindaci nelle grandi città, infatti, potrebbe produrre una sconfitta per tutta la coalizione del centrodestra.
La via d’uscita della Lega
Salvini continua ad avere grandi potenziali sia elettorali che sul fronte della partita per la conquista della premiership nel centrodestra ma, è evidente, che sia arrivato il momento di sciogliere alcune macroscopiche contraddizioni politiche, tra tutte: la collocazione geopolitica della Lega. Una scelta non facile. E tuttavia, una scelta ineludibile se stai dentro un governo guidato da uomo dallo spessore di Mario Draghi, considerato un gigantesco statista nelle maggiori istituzioni europee. In queste ore, con l’addio della cancelliera Merkel, l’Europa guarda a Draghi come punto di riferimento, e d’altronde, l’Italia dell’ex governatore della BCE, non è più quella che si presentava con il cappello in mano e con il complesso dei conti sempre in disordine o con la stima della crescita sempre al ribasso. No. La crescita economica italiana è superiore alle attese e ha spiazzato Germania e Francia. A questo punto la lega che ha scelto di sostenere il governo Draghi dovrà abbandonare ogni ambiguità. La scelta: seguire la Meloni sul terreno di una competizione che lo porterebbe lontano dalle grandi cancellerie, perpetuando l’assurda competizione nel scimmiottare movimenti xenofobi, populismi pericolosi, sovranismi anacronistici, rivolte antiscientifiche, oppure decidere di collocarsi definitivamente nel contesto di una moderata destra liberal-conservatrice europeista, magari dentro i confini del PPE?
A inizio estate sembrava che l’orientamento andasse verso quest’ultima opzione. Il dialogo con Renzi, l’asse con Forza Italia, l’iniziativa con i Radicali sul referendum della Giustizia, tutto lasciava prevedere il graduale spostamento della lega in direzione di un terreno ancorato ad una destra riformista.
Questa opzione consentirebbe a Matteo Salvini di uscire dall’angolo in cui si ritrova. Rilanciare l’iniziativa per la costruzione di un blocco liberal conservatore centrista e circoscrivendo l’iniziativa della leader della destra italiana in una posizione lepenista potrebbe consentirgli di ridettare l’agenda politica del CDX e contemporaneamente di tenere a bada le fronde interne. Archiviata la frenesia della campagna elettorale, la Lega e Salvini dovrebbero rilanciare la palla dell’iniziativa, riprendendo il percorso che aveva intrapreso con Silvio Berlusconi a inizio estate. La stagione autunno-inverno porterà con se una serie di appuntamenti difficili e complicati. Prima fra tutti la partita sul Quirinale. La sopravvivenza della legislatura. Il destino di Draghi. Partite che si incrociano e che potrebbero riservare grandi sorprese. Se Salvini si lascia immobilizzare dal quadro delle difficoltà in cui si trova in questo momento, rischia di essere scalzato definitivamente dalla partita politica. Il rullo dei tamburi di guerra sono iniziati.
I segnali del ministro Giorgetti
L’intervista di Giorgetti alla Stampa, infatti, è quasi un segnale di battaglia imminente. In politica niente avviene per caso, anzi, i momenti dello scontro politico, soprattutto quelli interni, di solito vengono scelti accuratamente e, forse, non è un caso che coincidono con il momento di maggior difficoltà del leader del carroccio. Difficile immaginare che uno prudente come Giorgetti scelga incidentalmente, il momento più delicato per Matteo Salvini per sganciare un paio di siluri al suo indirizzo. Il primo riguarda l’esito delle elezioni amministrative. “Sbagliata la candidatura di Michetti a Roma, mentre Bernardo a Milano rischia di non arrivare al ballottaggio –esordisce Giorgetti e precisa- «i candidati non li ho scelti io che faccio il ministro e mi occupo d’altro».
Una presa di distanza da quella che potrebbe rivelarsi una sconfitta annunciata. Il secondo siluro è quasi una denuncia di inadeguatezza di Salvini a gestire la partita del Quirinale. Una partita che Giorgetti farebbe gestire «ad Umberto Bossi visto che «il 99% di quello che so l’ho imparato da lui». Una stilettata al vetriolo, considerato il rapporto tra il Senatùr e Salvini in questi anni (uno dei diktat della comunicazione di Morisi era quello di non nominare Bossi). Insomma, segnali che forse non sono ancora una dichiarazione di guerra ma ci somigliano abbastanza, ma che tuttavia, Salvini, potrebbe ancora disinnescare con una intelligente iniziativa politica. Nel frattempo, l’alleata/nemica Giorgia Meloni, non si lascia sfuggire l’occasione per lanciare il suo siluro: «Che il centrodestra non abbia (più) un leader, è una constatazione». I fuochi per riscaldare l’autunno ci sono tutti, il 5 ottobre si capirà fino a che grado sarà destinata a crescere la temperatura.