Politiche 2022

Partita ancora aperta, nel maggioritario si vince o si perde per un voto: servono candidati credibili

Siglato l’accordo Letta-Calenda. Secondo la Ghisleri, direttrice di Euromedia Research: «Non bisogna basarsi sui sondaggi di questi giorni, tutto si deciderà, come sempre, negli ultimi 10 giorni della campagna elettorale».  Anche la Calabria e tutto il sud, nel novero dei collegi contendibili per entrambi gli schieramenti

 

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di Pasquale Motta
2 agosto 2022
17:11

«Senza Azione si rischia in 20-25 collegi che sono ballerini». Questa era l’assillo di Enrico Letta nel tenere il dialogo aperto con Calenda. Una preoccupazione confermata dalle stime di Youtrend, il centrosinistra senza l’alleanza con Azione e Più Europa, avrebbe rischiato di perdere 16 collegi uninominali, ergo, 16 parlamentari in meno, mica noccioline in epoca di magra. «Se vogliono l’accordo noi saremo generosi» aveva affermato il segretario del Pd che, tradotto dal politichese, significava una offerta sostanziosa in termini di candidature per Azione e Più Europa. Detto fatto. Secondo l’accordo siglato, “la totalità dei candidati nei collegi uninominali della coalizione verrà suddivisa tra Democratici e Progressisti e Azione/+Europa nella misura del 70% (Partito Democratico) e 30% (+Europa/Azione), ovviamente, al netto dal totale dei collegi che verranno attribuiti alle altre liste dell’alleanza elettorale.”

Risolto l’aspetto tecnico. Rimaneva il nodo politico. La chiarezza sui contenuti nella coalizione. Il centrosinistra non è nuovo a pasticci programmatici conseguenza di alleanze poco chiare. Basti ricordare l’ultima stagione di Prodi.  L’alleanza da Mastella a Turigliatto si concluse con la capitolazione del governo dopo appena 24 mesi. I problemi di contenuti possono essere sintetizzati in: Termovalorizzatori si o no? Rigassificatori si o no? Tav si o no? Alleanza atlantica si o no? Sostegno alla resistenza ucraina si o no? Problemi di fondo che, non possono essere compensati dal minimo comun denominatore generico e perdente: “per fermare le destre”. Questa linea, ispirata in passato da Repubblica e De Benedetti, e sintetizzata nell’antiberlusconismo radicale, si è rivelata sempre perdente. Tra l’altro, De Benedetti, oggi editore de Il Domani, insiste per lo scontro radicale con la demonizzazione dell’avversario, reiterando l’errore del passato.


L’accordo tra Pd e Azione e Più Europa, prova a superare questi nodi politici con questo passaggio: “Per quanto riguarda le conseguenze del mutato scenario internazionali in ambito energetico, PD e Azione/+Europa si  impegnano a mettere in campo le politiche pubbliche più idonee per garantire l’autonomia del Paese attraverso un’intensificazione degli investimenti in energie rinnovabili, il rafforzamento della diversificazione degli approvvigionamenti per ridurre la dipendenza dal gas russo, la realizzazione di impianti di rigassificazione nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica virtuosa e sostenibile”. Abbastanza netto, anche il passaggio sulle collocazioni internazionali: “PD e Azione/+ Europa si impegnano a promuovere, nell’ambito della rispettiva autonomia programmatica, l’interesse nazionale nel quadro di un solido ancoraggio all’Europa e nel rispetto degli impegni internazionali dell’Italia e del sistema di alleanze così come venutosi a determinare a partire dal secondo dopoguerra. In questa cornice le parti riconoscono l’importanza di proseguire nelle linee guida di politica estera e di difesa del governo Draghi con riferimento in particolare alla crisi ucraina e al contrasto al regime di Putin.” Fratoianni, Fraccaro, i verdi condivideranno questa cornice, considerato che, fino a qualche giorno fa ci hanno sparato sopra a palle incatenate? Questa ambiguità potrebbe rappresentare il ventre molle nella rappresentazione di una solida credibilità della coalizione del Centro e della sinistra, così come l’hanno declinata Della Vedova, Calenda e Letta, nella conferenza stampa di Montecitorio illustrando le linee generali dell’accordo. E, tuttavia, la partita è complessa, e per nulla scontata. Seppur, almeno secondo i sondaggi, è ipotizzabile che il centrodestra possa vincere le elezioni del 25 settembre. Gli strateghi del centrosinistra dovrebbero trovare la bussola per individuare il percorso per arrestare quella che, sembrerebbe una marcia trionfale del cdx verso la conquista di Palazzo Chigi.

Le opzioni sono diverse, le ipotesi anche, analizziamone qualcuna. La percentuale dei seggi parlamentari che potrebbe conquistare il centrodestra, per esempio, secondo una simulazione dell’istituto Cattaneo, potrebbe arrivare al 60,5%. Una tale forza consentirebbe alla Meloni di mettere mano alla modifica della carta costituzionale senza passare per un referendum confermativo. Uno scenario che potrebbe creare qualche problemino alla tenuta della democrazia. Le intenzioni di riforma istituzionali della Meloni sono chiare e per niente moderate: trasformare il paese in una repubblica presidenziale. Una riforma radicale di questo tipo fa tremare i polsi e, presupporrebbe, un coinvolgimento di tutte le forze parlamentari. Il centrodestra di Meloni, Salvini e Berlusconi, sul punto, rimangono però molto ambigui. Per tali motivi, il centrosinistra, se non dovesse ribaltare le previsioni che danno la vittoria al CDX, dovrebbe trovare la strategia per tenerlo al di sotto della conquista dei due terzi dei parlamentari necessari per cambiare la costituzione.  

La riforma costituzionale proposta dalla Meloni, considerato la sua radicalità, andrebbe fatta attraverso l’elezione di un’assemblea costituente, possibilmente eletta proporzionalmente. Non si può far finta di ignorare che oggi vota meno della metà dell’elettorato attivo. Ciò significa che, chi vince, rappresenta una minoranza del popolo italiano. Il 2018 si recò alle urne il 73% del corpo elettorale ma ormai sono anni che vota meno della metà degli aventi diritto. La battaglia elettorale, dunque, dovrebbe tener conto di tutto ciò, e dovrebbero essere messe in campo tutte le strategie per tentare di arginare il potenziale risultato elettorale del centrodestra. L’accordo tra Calenda e Letta va verso questa direzione. Ma non basta. Secondo le simulazioni del Cattaneo, il centrodestra potrebbe conquistare il 70% dei collegi uninominali, ma è altresì altrettanto vero, che molti di quei collegi sono ancora contendibili. Al sud. E anche in Calabria. A ciò si aggiunga un altro fattore, circa il 40% del corpo elettorale ancora non ha deciso chi votare. Una percentuale che potrebbe ribaltare tutte le previsioni. E che la partita sia aperta lo conferma anche la sondaggista Alessandra Ghisleri in una intervista a Repubblica. Secondo la direttrice di Euromedia Research: «Quando prima delle elezioni ci sarà il richiamo al voto utile, il terzo polo rischierà». Inoltre, sempre secondo la Ghisleri, non bisogna basarsi sui sondaggi di questi giorni, tutto si deciderà, come sempre, negli ultimi 10 giorni della campagna elettorale”.

E d’altronde non sarebbe la prima volta che previsioni e percentuali verrebbero clamorosamente smentiti dai dati elettorali. Nel 2013 la media degli ultimi sondaggi e di quelli immediatamente precedenti indicava il PD di Pierluigi Bersani al 30 per cento circa, il Popolo della Libertà (Pdl) di Silvio Berlusconi al 20 e il Movimento 5 Stelle al 15 per cento. Al 10 per cento c’era poi Scelta Civica di Mario Monti, al 5 la Lega di Roberto Maroni, al 4 per cento Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola e al 3 per cento l’Unione di centro di Pier Ferdinando Casini. Il dato reale non confermò propriamente quelle previsioni. Alla Camera il primo partito risultò il Movimento 5 Stelle, che ottenne il 25,6 per cento dei consensi, il Partito Democratico si fermò al 25,4. Il Popolo della Libertà al 21,6 per cento, Scelta Civica si fermò all’8,3 per cento, la Lega al 4 e Sinistra ecologia e libertà al 3,2.

L’errore molto probabilmente fu scaturito dal fatto che, una parte degli elettori decise soltanto negli ultimi quindici giorni chi votare, scegliendo prevalentemente il M5S. Il 2013 era ancora in vigore il Porcellum e, dunque, non stravolse di molto la composizione parlamentare, uno scostamento del genere nel Rosatellum, e, dunque, nei collegi uninominali, oggi, potrebbe decidere la sorte di molti collegi considerato che si vince o si perde per un voto.

Neanche nel 2018 le previsioni furono confermate.  Gli ultimi sondaggi prima del voto, cioè due settimane prima, davano il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio al primo posto con il 28 per cento, il Partito Democratico di Matteo Renzi al 23 per cento, Forza Italia di Silvio Berlusconi al 17 per cento e la Lega di Matteo Salvini al 14 per cento, Liberi e Uguali di Pietro Grasso al 6 per cento, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al 5 per cento e Più Europa di Emma Bonino al 2,5 per cento. E’ probabile che gli errori di previsioni del 2018, anche allora, molti elettori decisero chi votare negli ultimi quindici giorni, il resto, molto probabilmente, lo hanno determinato alcuni colpi di teatro del M5S come la presentazione della squadra di governo fatta a tre giorni dal voto.

I giochi, dunque, sono tutt’altro che chiusi, nonostante le previsioni favorevoli al centrodestra, il contesto sociale è molto diverso, e la stabilità del voto è ridotta al minimo. Inoltre, personalmente sono convinto che la corsa in solitaria di Italia Viva di Matteo Renzi, sganciata dai due poli, potrebbe riservare qualche sorpresa soprattutto a danno del centrodestra.

I collegi contendibili sono collocati in tutto il sud e, in una parte del centro, e non dovrebbero far dormire sonni tranquilli né al centrodestra né al centrosinistra. Nei collegi uninominali si vince o si perde per un voto, non c’è spazio per sistemare amici di corrente, sodali di cordata, scontenti che non hanno trovato posto nelle liste bloccate. Bisognerà trovare candidati forti e radicati nei territori, la vittoria nei collegi uninominali dipenderà dalla credibilità e dal radicamento di quei candidati. I partiti saranno in grado di guardare oltre i soliti miseri interessi di bottega?

Giornalista
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