La rinascita

Cagnolino picchiato e torturato nel Reggino, la nuova vita di Pluto grazie ai volontari di Anime randagie

I cani arrivano da ogni angolo della regione per essere curati e adottati in tutta Italia. L'impegno dell'associazione di Bovalino per dare una seconda possibilità agli animali il cui destino sembrava essere già segnato

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di Tonino Raco
26 dicembre 2022
09:50

Contrastare un fenomeno drammaticamente crescente, quello del randagismo, restituendo la vita ad animali che, nella maggior parte dei casi, sarebbero destinati a morire nell’indifferenza più totale.  È la missione che da qualche anno porta avanti l’associazione Anime Randagie di Bovalino, nata nel 2015 da un gruppo di volontari e che nel corso degli anni ha recuperato e curato ben 2500 cani, dandone in adozione oltre 2000.

Tutto nasce il 22 giugno del 2015, quando la signora Angela Aguì, attuale presidente dell’associazione, scopre proprio a Bovalino il massacro di alcuni cuccioli di randagi. 


Quell’episodio crea una mobilitazione tra i volontari già presenti sul territorio e a seguito di un appello su Facebook da parte della signora Aguì, affinché si potessero mettere al sicuro i superstiti, si è iniziato ad operare tutti insieme sul territorio.

Data l’urgenza della situazione è stato costruito un piccolo rifugio di fortuna fatto di lamiere grazie alla concessione di un pezzo di terreno da parte di amici dell’associazione, che è stato però spazzato via da un'alluvione nel novembre 2015. 

«In quell’occasione - spiega Angela Aguì - siamo riusciti a portare in salvo i cagnolini in extremis e abbiamo chiesto al Comune di Bovalino l’opportunità di avere un ex macello in disuso che era un rudere praticamente. Siamo riusciti a proporre un progetto credibile, e partendo da un mio prestito personale siamo riusciti a far capire quali fossero le nostre intenzioni e la bontà del progetto, che rappresentava un cambiamento epocale per il nostro territorio che per tanti aspetti è deserto, ecco con questa associazione siamo riusciti a creare un’oasi nel deserto».

Un progetto che ha visto quindi un vecchio macello trasformarsi da luogo di morte ad oasi di rinascita, dove centinaia di cani che arrivano da tutta la regione incontrano un personale qualificato e appassionato pronto a fare l’impossibile per restituire loro la vita, in attesa che possano trovare una famiglia intenzionata ad adottarli. 

L’associazione, ad oggi, ha raggiunto un grandissimo seguito sui propri canali social, riuscendo a far adottare gli amici a quattro zampe (dopo opportune verifiche circa l’adottante) in ogni città d’Italia. 

«Noi quotidianamente recuperiamo cagnolini vaganti sul territorio che spesso purtroppo arrivano da noi praticamente in fin di vita e tramite un’equipe veterinaria di eccellenza, predisposta proprio per fornire le migliori cure, riusciamo a dare delle risposte estremamente efficaci. Fungiamo praticamente da canile sanitario in un territorio, quello della provincia di Reggio Calabria, in cui il canile sanitario non esiste, anche se la normativa lo prevede». 

Un impegno gratuito da parte dei numerosi volontari che si trovano purtroppo spesso a dover affrontare situazioni strazianti, che mostrano il lato peggiore dell’essere umano. 

La storia di Pluto

«C’è un cagnolino in particolare, il nostro Pluto, che viene da Cosenza, che è stato prima picchiato, poi lanciato fuori dalla macchina (con la conseguenza che le zampe anteriori si sono spezzate) dopodiché lo hanno legato con un cappio e trascinato tanto da tirargli via tutta la pelle. Ecco, questa è una delle situazioni che abbiamo dovuto fronteggiare. Pluto è il cane più dolce del mondo, per noi è diventato davvero come un figlio. Tutti questi cani sono figli nostri, io non ravviso la differenza tra i miei figli e loro, anzi, forse per i miei figli sono più tranquilla perché so che loro sono capaci di autogestirsi, ma queste creature che arrivano in condizioni drammatiche hanno bisogno di una tutela in più».

«Il nostro obiettivo - conclude la presidente Aguì - è che questa struttura che abbiamo costruito diventi un giorno una specie di luogo della memoria, dove il randagismo sia solo un lontano ricordo. Solo allora riusciremo a dire che abbiamo conseguito il risultato per cui abbiamo dato la vita, perché credetemi, noi qui stiamo dando la vita».

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