Un paese tra le fiamme

Cardeto, dopo la paura resta solo l’odore di bruciato. E la gente denuncia: «Ce la siamo vista brutta, la montagna è abbandonata»

FOTOGALLERY | Poco più di mille abitanti e un territorio enorme di 50 chilometri quadrati, dove all'improvviso si è scatenato l'inferno. I residenti ora fanno i conti con i danni, telefoni che non funzionano e assenza di corrente elettrica: «Abbiamo tutti dato una mano per salvare le nostre case, servivano più uomini e mezzi aerei»

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di Vincenzo Imperitura
27 luglio 2023
06:25

Ha bruciato per 5 giorni la montagna attorno a Cardeto. Centinaia di ettari di macchia mediterranea, pini, castagni, querce: tutto evaporato in poche ore sotto la violenza delle fiamme. Fiamme che si sono fatte largo sui costoni d’Aspromonte abbandonati da anni a loro stessi. Fiamme che nel loro avanzare hanno distrutto case e seminato morte. Esattamente come nell’estate di due anni fa. 

Cardeto è un comune minuscolo arroccato a quota 700 metri e che fa i conti con un territorio enorme di quasi 50 chilometri quadrati. Una comunità di poco più di mille abitanti disseminati in una trentina di contrade attorno alla valle del Sant’Agata, che per giorni ha rivissuto l’incubo del 2021. «Il fuoco è partito da Mossorofa e poi si è diviso in tre tronconi, risalendo la montagna e accerchiando il paese. Ce la siamo vista brutta, le fiamme erano altissime». Francesco Fortugno è il vicesindaco del piccolo centro affacciato sullo Stretto.


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Casacca della Protezione civile in spalla, da giorni si coordina con le squadre di soccorso che, da terra, hanno provato ad arginare la furia del fuoco: «Qui tutti abbiamo dato una mano per salvare le nostre case, le nostre aziende. Eravamo assieme ai vigili del fuoco e alle squadre di Calabria Verde, ma il territorio del nostro comune è molto grande e noi qui siamo quelli che siamo. Da terra però si può fare davvero poco quando le fiamme sono altissime come in questi giorni. Quello che è mancato è stato un intervento più massiccio dei mezzi aerei. Se il canadair avesse fatto almeno un passaggio in questa valle – dice indicando un punto distante poche centinaia di metri dalla casa dove ha trovato la morte un uomo di quasi cento anni – forse non piangeremmo l’ennesima vittima degli incendi».

Siamo a Carcea, una contrada isolata del paese attorno a quota mille: qui le fiamme si sono prese la vita di Diego Aquilino, Zi Decu come lo chiamavano gli appassionati della musica tradizionale calabrese disposti a farsi chilometri di strade impervie per ascoltarlo suonare la zampogna. Da tempo costretto a letto, l’anziano musicista è rimasto vittima dell’avanzare del fronte di fuoco: vani purtroppo sono stati i tentativi da parte dei suoi parenti di trascinarlo via. Qualche centinaio di metri più su invece è andata molto meglio ad un altro abitante del posto. La sua villetta con giardino è un punto verde nel nero della montagna bruciata. A salvare la casa è stata la piccola piscina dietro il portico a cui l’uomo ha collegato un pompa meccanica che gli ha consentito di tenere lontane le fiamme.

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La strada che dalla montagna scende verso il centro abitato è un pianto. Carcasse di querce centenarie rinsecchite dai roghi lasciano il passo a scheletri di ginestre e file di pini anneriti che il fuoco ha attaccato dal  basso, alimentandosi con la resina. «Quando il fuoco attacca la base del tronco, per l’albero non c’è più niente da fare. Questi erano pini di più di 50 anni, sono quasi tutti morti» racconta Mario, uno dei cittadini che per giorni hanno fronteggiato il fuoco fianco a fianco alle squadre di soccorso. Pala in mano, setaccia con la sua squadra il sottobosco alla ricerca di piccoli focolai che potrebbero fare precipitare di nuovo le cose: «Una volta questo lavoro lo facevano gli operai della forestale. Ora sono rimasti in pochi, per di più quasi tutti anziani e con problemi di salute. La montagna è abbandonata, nessuna la pulisce, nessuno se ne prende cura».

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In paese oggi si respira. Ancora non funzionano i telefoni e si registra qualche problema con l’erogazione della corrente elettrica, ma dopo giorni di paura il peggio sembra ormai alle spalle. «Abbiamo dato una mano per salvare le nostre case, anche il parroco era con noi – dicono al bar della piazza finalmente riaperto – ma questa volta ce la siamo vista brutta. Le squadre di soccorso hanno fatto di tutto per contenere le fiamme ma non erano sufficienti per fronteggiare l’intero fronte. Servivano più passaggi dei mezzi aerei, servivano più uomini sul campo».

Il giorno dopo la grande paura, a fare compagnia a questo piccolo popolo fiero che non ha esitato a combattere le fiamme a mani nude, resta solo l’odore acre della montagna bruciata. Oltre al timore che la mano di chi quel fuoco lo ha alimentato, possa provare a terminare il lavoro iniziato.

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