L’ultimo incontro ravvicinato è avvenuto a Lampedusa. Un pesce arancione brillante, dal corpo traslucido, così insolito da spingere Ludovica, giovane pescatrice per passione, a fotografarlo e inviare lo scatto alla pagina Facebook “Oddfish”, gestita dal Cnr e dedicata agli avvistamenti di specie marine aliene. La risposta ha confermato i sospetti: si trattava di un tordo con la basetta, pesce tropicale arrivato dal Canale di Suez e spintosi progressivamente verso ovest grazie al riscaldamento del Mediterraneo. Un esemplare rarissimo: solo il secondo mai segnalato in Italia.

Ma il tordo con la basetta non è solo. Negli ultimi anni, i mari italiani stanno assistendo a un’invasione silenziosa e costante di specie non autoctone. Il caso più noto resta quello del granchio blu, che in meno di un decennio ha colonizzato lagune e foci, fino a diventare così abbondante da essere esportato in Asia.

Dal 2012, il pesce scorpione — o lionfish — ha iniziato la sua marcia nel Mediterraneo. “Oggi lo troviamo anche in Italia, soprattutto nel mar Ionio e lungo le coste del basso Adriatico” spiega Ernesto Azzurro, ricercatore dell’Irbim-Cnr. “Non è più una presenza sporadica: il nostro mare è ormai il suo habitat naturale”.

Dietro le eleganti sfumature rosse, il lionfish nasconde aculei velenosi e un appetito vorace. In Florida ha devastato interi tratti di barriera corallina, spazzando via pesci locali senza incontrare predatori naturali. In Italia, la sua diffusione è favorita da un mare che si riscalda a una velocità record: +0,38 °C per decennio, contro la media mondiale di 0,11. A inizio luglio, Copernicus ha registrato tra Corsica, Italia e Francia temperature marine di 7,7 gradi oltre la media.

A preoccupare non sono solo i pesci. Nel Golfo di Trieste e ormai in gran parte del Mediterraneo si moltiplicano le “noci di mare”, organismi gelatinosi trasparenti, grandi quanto il palmo di una mano, capaci di divorare uova e larve di alici e sardine, oltre allo zooplancton. Arrivate probabilmente tramite le acque di sentina delle navi, stanno alterando l’equilibrio alimentare marino.

Le segnalazioni più recenti includono la cernia africana, avvistata nel canale di Sicilia e pescata al largo di Genova, e il pesce flauto, dal corpo lungo e sottile, capace di colonizzare il Mediterraneo in soli vent’anni. “Non sono i singoli avvistamenti a preoccuparci, ma il quadro complessivo” avverte Azzurro. “Il Mediterraneo è oggi il mare più invaso al mondo e gli obiettivi europei sulla biodiversità sono lontani”.

Le ondate di calore marine non colpiscono solo i pesci: quest’anno si sono registrate morie di mitili selvatici, con esemplari vicini alla riva particolarmente vulnerabili. Al contrario, i granchi blu prosperano. Nel delta del Po, a luglio, in un solo giorno ne sono stati pescati 300 quintali: troppo per il mercato locale, spingendo i pescatori a puntare su esportazioni verso Sri Lanka, Tunisia e presto anche Corea e Stati Uniti.

Per i biologi, il legame tra crisi ambientale e conflitti globali è evidente. “La perdita di biodiversità procede senza freni — conclude Azzurro — e il Mediterraneo sta cambiando più velocemente di quanto fossimo pronti a immaginare. Il rischio è che il nostro mare diventi irriconoscibile”.