La nuova piattaforma

Reddito di cittadinanza, flop del portale: in Calabria 14mila ex percettori e 80 offerte di lavoro quasi tutte al Nord

Il 75% delle opportunità è nelle regioni settentrionali, spesso a tempo determinato. In Trentino, per poco più di 300 persone che ricevevano il sussidio, sulla piattaforma del Ministero ci sono 640 “posti”

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di Massimo Clausi
8 settembre 2023
06:30

La stragrande maggioranza di persone che stanno perdendo il Reddito di cittadinanza vive al Sud, ma oltre due terzi degli annunci di lavoro offerti loro dal governo, attraverso la nuova piattaforma Siisl, sono al Nord. La piattaforma è entrata in funzione dal primo settembre, ma non sembra, come era del resto prevedibile, uno strumento davvero in grado di trovare lavoro agli occupabili. D’altronde proprio questa è l’aspetto del Reddito di cittadinanza che non ha funzionato.

Basti pensare alla nostra regione. Sono 14.384 gli ex percettori calabresi del reddito di cittadinanza iscritti alla piattaforma, ma le offerte di lavoro complessive sono soltanto 80. Un trend che è uguale in quasi tutto il Meridione. 


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All’opposto regioni come il Veneto con 2.141 famiglie che hanno detto addio al Reddito ad agosto e ben 3.700 annunci di lavoro oppure in Trentino dove l’offerta supera addirittura la domanda: 307 sono gli ex percettori di reddito mentre le offerte di lavoro presenti sul sistema sono quasi il doppio (640). In totale abbiamo 159.084 ex percettori in Italia e le offerte di lavoro totali sono 20.720. Questi i dati pubblicati dal Fatto Quotidiano.

Trovare lavoro con questi numeri se non è come vincere la lotteria poco ci manca. La legge, però, è inflessibile. Prevede che gli ex percettori seguano dei corsi di formazione per un periodo massimo di dodici mesi. Durante questo periodo riceveranno 350 euro mensili. Si avrà diritto all’assegno, però, soltanto durante il periodo di svolgimento dei corsi. Non si possono rifiutare offerte in tutto il territorio nazionale solo se sono a tempo indeterminato. Quelle a termine, invece, vanno accettate obbligatoriamente solo a meno di 80 chilometri da casa.

Insomma il sistema sembra fare acqua e non è di certo una sorpresa se si considerano le condizioni economiche generali di un Paese, come l’Italia, che da decenni fa registrare crescite del Pil sotto l’1%.

Uil: «La Regione formi figure professionali che servono alle aziende»

Se questo è il quadro generale, in Calabria va anche peggio. I sindacati dicono che ancora non hanno navigato nella piattaforma, ma quei numeri sono reali.

Il problema non è solo la scarsa presenza di aziende di medie/grandi dimensioni ma anche altri fattori come spiega Santo Biondo, segretario generale della Uil. «In Calabria le politiche attive del lavoro sono molto deboli per una serie di motivi. Il primo è che le offerte di lavoro vengono fuori incrociando i dati degli uffici per l’impiego e le agenzie interinali. Da noi non esistono le grandi multinazionali che si occupano di lavoro e anche sul fronte degli uffici di collocamento siamo molto indietro, le fasi concorsuali non si riescono a concludere, a Cosenza addirittura non c’è nemmeno la sede fisica. Continuando si potrebbe aggiungere che anche il dipartimento Lavoro della Cittadella, che dovrebbe svolgere un ruolo centrale nelle politiche regionali, è invece ridotto all’osso con un solo dirigente, che fa miracoli, e pochissimo personale».

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Per Biondo il dibattito sul lavoro in Calabria si limita a inseguire l’emergenza e quindi soluzioni per la fine di un precariato diffuso, ma raramente si mettono in campo politiche attive. «Anche per quanto riguarda i corsi di formazione - dice Biondo - non si possono fare a piè di lista come in passato. Classicamente si facevano corsi per parrucchieri, estetisti, baristi ecc. Il Governo regionale dovrebbe invece avviare una fase di confronto serrato con le organizzazioni datoriali per capire quali sono le figure professionali che mancano e su questo tarare i corsi e formare le persone. Pensi che mentre noi parliamo di carenza di posti di lavoro sul Sole 24 Ore gli industriali lanciano l’allarme che mancano circa 500mila assunzioni di profili professionali che non si trovano in Italia. Ecco su questo bisognerebbe aprire una riflessione seria se vogliamo mettere in campo politiche incisive». 

Biondo poi inserisce anche un altro elemento, il programma Gol, finanziato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano che si pone tra gli obiettivi quello di potenziare i servizi di politiche attive del lavoro andando ad agevolare l’inserimento lavorativo dei cittadini. «In Calabria - dice Biondo - abbiamo un tesoretto di 70 milioni di cui 40 destinati proprio a migliorare le performance dei centri per l’impiego sotto il profilo della dotazione organica, degli strumenti informatici, delle sedi. Magari si potrebbe cominciare ad utilizzare questo strumento».

Cgil: «Così la Calabria diventerà un deserto»

Sulla stessa lunghezza d’onda è anche l’omologo della Cgil, Angelo Sposato. Anche lui dice che il programma Gol è partito solo sulla carta e che invece sarebbe fondamentale avviare sul serio. «La nostra regione poi - dice Sposato - ha qualche problema in più. Il rating delle nostre aziende non brilla: abbiamo stipendi al ribasso, ore di straordinario usate in maniera selvaggia, molto nero, utilizzo improprio dei contratti a tempo determinato. Il problema è che questi fenomeni stanno emergendo anche in situazioni in cui non te li aspetti come nel mondo cooperativo. Qui dobbiamo fare uno sforzo collettivo, politica e parti sociali, per creare lavoro buono che non significa a vita, ma di condizioni dignitose. Oggi, ad esempio, c’è un tavolo sul precariato convocato dall’assessore regionale Giovanni Calabrese. Iniziativa nella quale si parlerà principalmente di tirocinanti che hanno tutto il diritto di essere stabilizzati. Ma non è possibile discutere solo di emergenze, ora è il momento di programmare perché la fuga di ragazzi verso il Nord è una fuga non solo di cervelli, ma anche di capitale che i genitori hanno investito per far studiare i loro figli che magari devono anche aiutare anche quando lavorano, per affrontare il costo della vita delle città del Nord. Così davvero c’è il rischio che la Calabria diventi un deserto».

Bisogna agire prima, quindi, visto che il lavoro di certo non si crea per decreto.

 

Giornalista
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