L’Unione Europea esiste. In effetti, esiste la sua sede Centrale a Bruxelles. Allo stesso modo, esiste il Consiglio Europeo ed esistono le decisioni che emette. Eppure, i risultati delle motivazioni fondanti l’Unione Europea non esistono. Nell’accezione etimologica di ex-sistere – stare fuori, uscire da – questi risultati sono davvero usciti fuori dal momento della sua fondazione? O il buon caro Schuman ha semplicemente gettato le basi per una dolce utopia?

Spesso le promesse sono utopie. Agli europei (e qui resta da comprendere chi sono gli europei) era stata promessa la possibilità di considerarsi uniti nonostante le barriere geografiche, mantenendo la propria identità. Popoli diversi, abitanti di un’unica grande casa. Una Europa viva, vera, con una moneta unica e regole egualitarie. Il lascito, invece, prevede regole asimmetriche e una moneta rigida.

Tutti i Paesi dell’Unione Europea, per esempio, sono accomunati dal rispetto per gli stessi criteri fiscali. Ciò favorisce un Paese come la Germania che vanta un’economia solida. Ma per Nazioni come l’Italia o la Grecia - il cui tasso di disoccupazione è preoccupante - il margine è più basso. Allora, in questo caso si perde il senso di “egualitario”, perché si azzerano le differenze tra i Paesi. Non è un paradosso: è un errore non riconoscere che ogni nazione ha un sistema economico con punti di forza e fragilità differenti.

L’Unione Europea non esiste. È una formula astratta. È una falsa uguaglianza. Un’unione che divide. Un mosaico di idee divergenti, piccole tessere che provano ad aggrapparsi l’una all’altra solo perché consapevoli dell’alto rischio di cadere a pezzi.

Eppure l’idea di Robert Schuman (già Ministro degli Esteri francese) è di nobile natura, a tratti poetica. Il 9 maggio 1950 presenta la Dichiarazione fondante la Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), proponendo che due potenze mondiali quali Francia e Germania si alleassero nella produzione di materiali di guerra (e grandi risorse energetiche e di costruzione) anziché combattere. Un atto di tregua, di pace. Un tentativo di sventare un ulteriore scontro sanguinario tra i popoli (la Seconda Guerra Mondiale era finita da appena cinque anni). Un tentativo, al tempo, riuscito. Se non altro perché la sovranità economica cede il posto alla cooperazione politica.

Ma oggi i risultati di quell’idea non si vedono né nella gestione politica (o forse sarebbe più opportuno dire “tecnocratica”?) né nei cuori degli europei. Fa un passo indietro di fronte alle crisi (dei migranti, della guerra, dell’energia, della pandemia) e spinge in avanti i singoli Stati. Si nasconde. L’Unione Europea non esiste nei porti che respingono i migranti senza trovare altre soluzioni. Nei cartoni dei senzatetto. Nelle fabbriche chiuse e sui divani dei disoccupati. Le sue stelle si sono spente, inghiottite dal blu dei suoi abissi. Del resto, come si può pretendere che esista un’unione continentale se persone dello stesso popolo fanno distinzioni tra nord e sud?

Il 9 maggio ritorna ogni anno, ma prima di celebrare la Giornata dell’Europa, bisogna disfarsi dei panni dell’ipocrisia e riconoscere che un frammento dell’ideologia di Schuman (r)esiste, ma solo affrontando la verità potrà tornare ad avere forma e forza. E la verità è che l’Unione Europea non esiste. Non ancora.