Cairo non sbatte mai la porta, ma le finestre le apre tutte. Anche quando tira un’aria che sa di crisi, di editoria malata, di palinsesti che annaspano tra talk fiacchi e repliche di “Grey’s Anatomy”. Ecco allora che l’uomo del pressing dolce si muove in silenzio, con la pazienza di chi sa che il momento buono arriva sempre. E ora, forse, è arrivato davvero.
Missione numero uno: portare a casa Sigfrido Ranucci. E con lui tutta la squadra di “Report”. Nome, ovviamente, da cambiare: il brand è Rai, ma l’identità è tutta sua. Il piano? Un nuovo lunedì di fuoco in prima serata, seguito da un laboratorio d’inchiesta in seconda, battezzato (provvisoriamente) “Report Lab”. Uno spazio giovane, militante, locale. Più Pif che Vespa. E per completare l’operazione, Cairo starebbe già ragionando con la sua casa editrice – Solferino – per costruire una collana di instant book legata alle inchieste più clamorose.
In Viale Mazzini, nel frattempo, non ridono. Ranucci, dopo anni da enfant prodige della Rai3 di Gabanelli, è diventato un corpo estraneo. Gli fanno la guerra col coltello, a colpi di slittamenti, commissariamenti, capostruttura di controllo e provvedimenti disciplinari. L’ultima beffa? L’inizio di stagione fissato per il 2 novembre: il giorno dei morti, manco a dirlo.

E Cairo lo sa. Sa che “Report” non ha solo un seguito televisivo, ma una macchina social da sei milioni di follower. Sa che portarsi a casa quella squadra non è solo una mossa editoriale, è un’operazione simbolica. La vendetta di La7 su una Rai piegata, l’abbraccio a un pubblico orfano di inchieste vere.

Ma la tv è solo metà del piano. L’altra metà si gioca in via Solferino. Il Corriere della Sera, sotto la direzione (ancora per poco?) di Luciano Fontana, ha tentato per anni la carta dell’equidistanza morbida. Un po’ Giornale, un po’ Repubblica, ma alla fine con l’effetto collaterale di non essere più né carne né pesce. Il risultato? I lettori hanno preferito l’originale – Libero, Verità, Giornale – alla copia prudente.

E così si cambia musica. Si parla con insistenza di un passaggio di testimone in direzione: il nome più gettonato è quello di Fiorenza Sarzanini, attuale vicedirettrice con delega alla cronaca. Ma più che la guida, sarà il parterre a dire la nuova linea. Nomi come Valeria Pacelli (giudiziaria di razza dal “Fatto”), Giacomo Salvini (politica pungente, stessa provenienza) e Simone Canettieri (oggi al Foglio, ma con la penna pronta per ogni scontro) circolano con insistenza.
L’obiettivo? Semplice e ambizioso: riportare il Corriere a essere quello che era ai tempi d’oro: una testata centrale, autorevole, indipendente, ma con un’anima. Non un giornale travestito da istituzione. Non un opinionista in gessato che cerca di non dispiacere nessuno. Ma un quotidiano capace di incidere, rompere, raccontare.

Certo, Cairo resta Cairo. Non è un peronista della carta stampata, non urla con la clava. Ma da editore con i numeri davanti, ha capito che la timidezza politica – specie in questo momento – è un boomerang. E se la destra editoriale s’è già presa tutto, meglio lasciare i centrini e tornare a essere un po’ più Gruber, un po’ meno Fazzolari.
Perché in fondo Urbanetto non è né di sinistra né di destra. È del partito degli editori che vogliono vendere. E che, se serve, pur di vendere, si prendono anche Sigfrido Ranucci.