A nove mesi dall'esecuzione dell'ordinanza, decine di famiglie vivono ancora senza una risposta abitativa. Le associazioni denunciano «atti fermi, assenza di interlocuzione e mancata di applicazione degli strumenti previsti per l’emergenza». Annunciata una nuova seduta della Commissione Controllo e Garanzia per chiarire responsabilità e prospettive.
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Da oltre vent’anni vivono negli alloggi del Comparto 6 di Arghillà. Famiglie che hanno cresciuto figli, lavorato e presentato richieste di regolarizzazione e di accesso ai servizi essenziali senza mai ottenere risposte strutturate.
Dopo lo sgombero del marzo 2025, la loro condizione è diventata emergenza abitativa conclamata. Tra silenzi istituzionali, atti amministrativi fermi e accuse di immobilismo politico, residenti e associazioni tornano a chiedere un percorso di legalità e soluzioni immediate.
Vivono lì da quasi vent’anni. Un tempo che, per chi ha abitato nel Comparto 6 di Arghillà, non rappresenta solo una lunga permanenza, ma il fallimento di ogni tentativo di trasformare un’occupazione di fatto in una condizione regolare. «Vogliamo diritti, non regali», raccontano alcuni residenti, spiegando di aver presentato più volte richieste formali per la regolarizzazione delle utenze elettriche e del gas. «Abbiamo fatto decine di domande per avere i contatori e pagare regolarmente, ma non è mai arrivata una risposta». In alcuni casi, riferiscono, anche i contratti esistenti sono stati interrotti.
Una precarietà che si riflette nella vita familiare. «Sono andato al Comune quando mia figlia aveva un anno, oggi ne ha diciotto», racconta un padre. «Lavora solo mia moglie, mia figlia deve andare all’università. Come facciamo?». Case nate come soluzione temporanea sono diventate l’unico riferimento abitativo per interi nuclei familiari.
Accanto ai residenti intervengono le associazioni che seguono da anni la vicenda. Patrizia D’Agui, presidente dell’associazione “Noi siamo Arghillà”, sottolinea come molte famiglie non fossero fisicamente presenti alla protesta, pur vivendo la stessa condizione: «Sono occupanti abusivi per la legge, ma nella realtà non hanno una casa. Siamo qui di nuovo dopo nove mesi per denunciare l’indifferenza, il silenzio e soprattutto la mancanza di volontà politica dell’amministrazione comunale».
D’Agui ricorda che le famiglie del Comparto 6 sono state sgomberate nel marzo 2025 senza un piano di ricollocazione: «Da allora vivono nella disperazione e nell’assenza totale di risposte istituzionali». Ma il problema, aggiunge, affonda le radici molto più lontano: «È una situazione che dura da quasi vent’anni, attraversando più amministrazioni. In undici anni le risposte avrebbero dovuto arrivare, non a ridosso delle prossime elezioni comunali».
Sul piano tecnico-amministrativo interviene anche Giacomo Marino, presidente dell’associazione “Un mondo di mondi”, che invita a superare una lettura riduttiva della vicenda. «È vero che l’occupazione è un’illegalità, ma va analizzata nel suo contesto. La legge prevede che, trascorsi cinque anni dalla contestazione, gli occupanti possano avere diritto a un alloggio. È una logica positiva, che richiama anche l’articolo 27 della Costituzione, secondo cui nessun reato deve impedire l’inclusione».
Marino denuncia quello che definisce un effetto paradossale delle scelte istituzionali: «Comune, Prefettura, Aterp e cabina di regia hanno spinto queste persone ad andare via senza offrire soluzioni, inducendole a ripetere l’illegalità altrove. È ciò che è accaduto a una parte delle famiglie del Comparto 6». Lo sgombero, sottolinea, non è stato accompagnato da alcuna assegnazione alternativa: «È stato fatto solo un pressing tramite i servizi sociali, ma senza strumenti concreti».
Delle circa ottanta famiglie inizialmente censite, oggi ne restano una trentina. Le altre, non avendo soluzioni, sono state costrette ad occupare altri immobili. «Questo ha prodotto un aumento dell’illegalità, non una sua riduzione», spiega Marino, precisando che le famiglie rimaste rientrano nelle categorie vulnerabili: nuclei con minori, persone con disabilità e soggetti fragili. «Lo dice la legge, non lo diciamo noi».
A pesare, secondo le associazioni, è anche il blocco del regolamento comunale sulle assegnazioni per emergenza abitativa, approvato nel 2018 e mai applicato. «A Reggio Calabria ci sono circa 450 richieste di emergenza abitativa e nessuna ha avuto risposta. È una tragedia sociale che riguarda tutta la città», afferma D’Agui.
Sul piano politico-istituzionale prende posizione Massimo Ripepi, consigliere comunale e presidente della Commissione Controllo e Garanzia della Città di Reggio Calabria. Ripepi annuncia l’intenzione di portare la questione all’interno delle sedi istituzionali competenti. «Avvieremo una Commissione Controllo e Garanzia per analizzare gli atti amministrativi fermi e chiedere spiegazioni ai dirigenti, al sindaco e all’amministrazione», spiega.
Ripepi ritiene opportuno attendere l’insediamento del nuovo sindaco per avviare un confronto con un interlocutore pienamente legittimato. La prima commissione utile potrebbe essere convocata subito dopo l’Epifania. «Serve chiarezza e serve spiegare in modo comprensibile ai cittadini cosa è successo e perché questa vicenda è rimasta bloccata per anni».
Resta però un nodo politico centrale, evidenziato dalle associazioni: «Il sindaco – ricorda Giacomo Marino – in base alla legge 48 del 2017 può intervenire in deroga per assegnare con urgenza un alloggio alle famiglie vulnerabili. Se non si fa, è perché manca la volontà politica».
Alla vigilia delle festività natalizie, la protesta assume un significato ancora più drammatico. Famiglie senza casa e senza certezze chiedono risposte immediate, mentre Arghillà continua a rappresentare uno dei nodi più irrisolti dell’emergenza abitativa a Reggio Calabria, sospesa tra legalità invocata e diritti negati.

