All’evento “Mai più sola”, a Reggio Calabria, la testimonianza di una madre scuote la platea: la storia di sua figlia, vittima di violenza di gruppo, diventa denuncia contro l’omertà, l’indifferenza sociale e la vittimizzazione secondaria che hanno costretto la famiglia a lasciare il proprio paese. Le sue parole diventano un appello: La giustizia vera arriverà solo quando nulla di tutto questo potrà accadere ancora, e nessuna donna si sentirà mai più sola
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A “Mai più sola”, Gabriella Castelletti parla con la forza di una madre a cui il mondo ha presentato un conto troppo caro. Ricorda la notte del 15 novembre 2023, quando all’alba la polizia entra in casa e lei, terrorizzata, comprende che è accaduto qualcosa di terribile. «Scopro che mia figlia è stata minacciata, costretta a subire una violenza brutale», racconta.
In quel momento non esita: «L’abbraccio mentre piange disperata. Le dico: racconta tutto, non avere paura, perché tu hai la mamma e il papà». Sua figlia trova la forza di denunciare.
Reggio Calabria ha visto donne resilienti pronte a rinascere dalle ceneri in cui uomini violenti le hanno ridotte. La forza e il coraggio di donne che, come Gabriella, sono madri a cui il mondo ha presentato un conto troppo caro. Una figlia violentata da un branco di giovani senza pietà e rispetto, appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta e spavaldi.
Così ragazzine indifese sono diventate vittime di un gioco macabro e pericoloso. Trattate come giocattoli di un piacere perverso. Ma se da un lato una ha avuto il coraggio di denunciare grazie al supporto della famiglia, l’altra si è trovata vittima anche dei suoi cari stessi che per omertà e paura l’hanno continuata a vessare con frustate e violenze anche piscologiche per costringerla al silenzio nei confronti di quegli aguzzini troppo pericolosi.
Ma alla violenza iniziale, secondo Gabriella, se ne aggiunge un’altra: quella dell’ambiente circostante. Parla di commenti sessisti e intimidazioni, di insulti sui social rivolti a lei e alla figlia. Racconta di episodi di pressione e ostilità in paese, di indifferenza da parte di figure istituzionali e religiose, vissuti da lei come un tradimento da parte della sua comunità.
«Quando uscivo di casa venivo insultata. Mi dicevano: avete rovinato un paese. Nessuno ha preso posizione pubblica. Nessuna manifestazione, nessuna parola per mia figlia», afferma.
Ricorda che, pochi giorni dopo l’arresto dei presunti aggressori, viene organizzata una fiaccolata per un altro episodio di violenza nel territorio, senza alcun riferimento al caso di sua figlia. Secondo Gabriella, tutto questo ha portato la famiglia a una condizione di isolamento profondo: «Questa è vittimizzazione secondaria: violenza dopo la violenza», ribadisce.
E racconta anche di aver subito atti intimidatori, come danni alle proprietà o minacce verbali, episodi sui quali le indagini delle autorità competenti restano l’unico riferimento ufficiale.
Gabriella ricorda che dalle indagini sarebbero emerse più vittime, tra cui un’altra ragazza molto giovane. «Avevano 14, 15 anni», spiega.
La differenza, dice, l’ha fatta la presenza della famiglia: «Mia figlia ha avuto sostegno. L’altra ragazza, oltre alla violenza, ha subìto anche violenze in casa, intimidazioni da parte dei familiari. Nessuna ragazza dovrebbe vivere questo».
Una delle vittime trova il coraggio di esporsi pubblicamente; l’altra no, schiacciata — racconta Gabriella — da paura, giudizi e cattiveria.
La madre racconta che, a un certo punto, la situazione diventa insostenibile. Parla del supporto ricevuto da figure esterne alla comunità e di come la famiglia sia stata aiutata a trasferirsi altrove per ricominciare. «Se le autorità del mio paese fossero state solidali, io non avrei cambiato paese», afferma. Ora vivono lontano, in cerca di un po’ di serenità.
A Reggio Calabria, davanti a una platea partecipe, Gabriella trasforma il suo dolore in un appello collettivo: «Essere qui significa dire basta. Basta alla violenza, basta all’indifferenza della gente».
Invoca anche un intervento normativo sui social: «Non è accettabile che una ragazza già distrutta accenda il telefono e trovi commenti sessisti che la possono spingere a gesti autolesivi».
Il suo intervento si conclude con un messaggio che dà il senso dell’intera serata: «La giustizia non è solo condannare i responsabili. La giustizia arriva quando tutto questo non accadrà mai più, quando nessuna donna, nessuna ragazza, si sentirà mai più sola».
Ragazze spezzate che porteranno dentro per sempre un dolore e cicatrici troppo profonde per essere sanate. Vite sospese che un paese intero, Seminara, ha fatto finta di non vedere, un dolore che ha visto le finestre chiuse e il silenzio assordante anche quando l’intera nazione gridava allo scandalo. Così a Mai più sola le parole di quella mamma sono diventate potenti, cariche di rabbia e di voglia di riscatto perché la giustizia vera non arriva solo con le condanne ma quando tutto questo non accadrà mai più perché nessuna donna o ragazza si sentirà Mai più sola.

