«Ucciderla? No, questo no. Mi scattava la rabbia e distruggevo tutto quello che mi trovavo davanti. Quindi aggredivo anche lei, rompevo quello che avevo in mano ma ucciderla no, non ci ho mai pensato». Alle spalle una denuncia per stalking e l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari: «Avevo davanti due possibilità: finire in carcere o frequentare questo corso e scontare la pena». Ha intrapreso la seconda strada Danilo, nome di fantasia per tutelarne la privacy, che alla reiterazione della violenza ha preferito l’introspezione.
Lo chiama così, il periodo di due anni trascorso al Centro calabrese di solidarietà, ente del terzo settore che a Catanzaro gestisce uno spazio rivolto agli uomini maltrattanti. Danilo qui c’è arrivato non per sua scelta, ma per evitare gli arresti domiciliari.

«All’inizio quando andavo mi sentivo molto a disagio, disturbato, non riuscivo a comprendere quello che mi stava succedendo. Ero riluttante nei confronti degli operatori e non volevo frequentarlo. Poi mi sono accorto di avere delle grandi difficoltà e loro sono stati bravissimi con dolcezza, dialogo e professionalità a capirmi, leggermi e instaurare un rapporto di fiducia. Tutte cose che servono per potersi aprire».

Quattro anni di convivenza con una donna in una relazione «disturbata. Non andavamo d’accordo – racconta - e finivamo per litigare. Da qui scaturiva la violenza e l’aggressività, andava a finire così per la maggior parte delle volte. Lei mi mentiva e io mi sentivo manipolato, questo faceva crescere dentro di me una grande frustrazione. L’incapacità di gestire queste emozioni sfociava in rabbia». La consapevolezza è arrivata solo dopo, la prima esperienza non è stata sufficiente.
Danilo al centro ci è tornato ma, la seconda volta, di sua spontanea volontà: «Ho capito le mie difficoltà e di aver bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Ho preferito quindi ripetere il corso. Abbiamo dialogato moltissimo, abbiamo studiato tanto, ognuno studiava sé stesso. Alla fine è un grande percorso di introspezione. Ho imparato a gestire le mie paranoie, i virus mentali. Mi rendo conto oggi che la violenza nella mente spesso scatta dal nulla, dalle paure che ci portiamo dentro, da quando siamo bambini. Gli operatori mi hanno educato, questo è il termine esatto».

Al centro calabrese di solidarietà ha imparato ad aprirsi e a guardare in faccia i suoi demoni. «Vengo da una famiglia un po’ sfasciata» racconta. «Da una famiglia in cui il padre era il padre padrone e le regole le dettava lui, ritrovo molti di questi aspetti patriarcali nei rapporti familiari. Ma tra me e la mia ex non c’era questo, non riuscivo più a fidarmi di lei. L’ho lasciata io la prima volta, lei è ritornata da me piangendo. Il sentimento c’era e abbiamo cercato di recuperare ma alla fine non ci siamo riusciti, era ormai come un vaso rotto. Non avevo più fiducia e poi sono usciti fuori tutti i demoni che mi portavo dentro, le paure trasmesse dai miei genitori».

Oggi si considera un «uomo più maturo, meno istintivo». E dopo anni è tornato anche l’amore. «Per fortuna l’ho trovato e vorrei tornare al centro per parlarne, confidarmi ed avere qualche consiglio. Mi rendo conto di avere un atteggiamento completamente diverso. Ho ritrovato la fiducia ma di fronte bisogna avere una persona che ti fa sentire al sicuro. A tutti gli uomini che si sentono logorati da queste relazioni e che, insomma, non riescono ad avere rapporti sani consiglio di rivolgersi a questi centri. Io dopo aver fatto un disastro vivo di testimonianza. C’è un gran bisogno di sensibilizzare. Cerco sempre un dialogo sereno senza aggressività, lo insegno anche a mia figlia di 13 anni e cerco di farlo capire anche a chi mi sta accanto. Ho dovuto staccare un po’ la spina. Dopo cinque anni, ad aprile, ho rincontrato la mia ex: abbiamo avuto modo di chiederci scusa, di dialogare e di smettere di portarci rancore. Di fare pace».