Roberto Calabria, responsabile del SerD dell’Asp di Cosenza, racconta la stretta sul gioco patologico: «Coinvolte anche tante persone con un livello culturale medio-alto, molti sono poliabusatori. Serve una medicina di iniziativa, non passiva»
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
In Italia si spendono annualmente circa 140 miliardi di euro nel gioco d’azzardo legale. Una cifra enorme, dietro la quale si cela anche un mondo sommerso, spesso legato alla criminalità organizzata. Solo in Calabria, la spesa supera i 3,7 miliardi di euro: un dato allarmante che apre molte riflessioni, in primis su cosa si potrebbe fare con quelle risorse per migliorare la qualità della vita delle famiglie.
Se ne è parlato a Dentro la notizia – format LaC condotto da Pier Paolo Cambareri - con il dottor Roberto Calabria, responsabile del SerD dell’Asp di Cosenza, figura di riferimento nella lotta contro le dipendenze.
A partire dai contenuti dell’iniziativa promossa ieri a Palazzo Campanella dalla Commissione regionale contro il fenomeno criminale, il dottore Calabria ha offerto un’analisi approfondita dell’impatto del gioco d’azzardo nella nostra regione: dai profili delle persone più esposte, alle ricadute sociali ed economiche che il fenomeno comporta.
Qualche tempo fa, il direttore del SerD dell’Asp di Cosenza aveva lanciato un allarme: la Regione Calabria non stava facendo abbastanza. «Le cose sono cambiate», racconta. «Siamo riusciti, insieme al privato sociale e alle comunità terapeutiche, a fare quadrato e intercettare la politica. Il risultato? La modifica della legge regionale sul gioco d’azzardo del 2018, avvenuta con la legge n. 53 del 22 dicembre 2022».
Due gli interventi principali: la regolamentazione degli orari delle sale gioco – ora chiuse tra le 12:30 e le 14:30 e dalle 24:00 alle 9:00 – per proteggere i giovani all’uscita da scuola e le persone più vulnerabili nelle ore notturne; e il distanziamento minimo di 500 metri delle sale gioco dai luoghi sensibili (scuole, chiese, banche). «Un risultato importante, frutto di un vero lavoro d’equipe con il Consiglio regionale», sottolinea Calabria, ringraziando in particolare l’on. Molinaro e il presidente Mancuso.
Un focus particolare è stato dedicato ai giovani: un’indagine su oltre 1000 studenti tra i 17 e i 22 anni di Cosenza e Rende ha rivelato che il 32% gioca alle slot machine. Peggio ancora, la Calabria è al quarto posto nazionale per adolescenti che hanno giocato d’azzardo, superando addirittura il Lazio. Un dato che preoccupa, perché il gioco si intreccia spesso con altre dipendenze: alcol, marijuana, cocaina.
«I ragazzi hanno un vuoto, spesso dovuto a famiglie disorganizzate o assenti, e la scuola da sola non basta. Se uno dei due pilastri educativi crolla, crescono i rischi», avverte il dottore. A proposito di cronaca, Calabria non esclude connessioni tra dipendenze e disturbi affettivi come nel recente caso di Afragola, a dimostrazione che questi comportamenti spesso affondano nella fragilità emotiva.
Altri dati raccolti offrono uno spaccato sorprendente: la fascia d’età più coinvolta nel gioco è tra i 40 e i 50 anni (46%), seguita dai 30-40enni (31%), mentre i 20-30enni rappresentano il 10%. Contrariamente a quanto si pensi, non sono solo i disoccupati a essere coinvolti: il 64% ha un lavoro stabile, e il 51% possiede un diploma. Il gioco colpisce anche persone con un livello culturale medio-alto. «Ho conosciuto persone con cinque finanziarie attive, che hanno venduto casa e auto per giocare», racconta Calabria.
Il gioco online è oggi il principale canale di accesso alla dipendenza, con il 63% dei casi: «Stiamo consegnando i nostri giovani al gioco attraverso i cellulari. Le percentuali di vincita sono bassissime, ma il meccanismo psicologico li incatena».
Infine, un’indagine su mille giovani evidenzia un altro dato allarmante: il 53% consuma alcol, il 32% gioca d’azzardo, il 10% usa cannabinoidi e il 9% cocaina. Molti sono poliabusatori.
E lo Stato? «Ha investito solo 50 milioni per contrastare la dipendenza da gioco: una cifra irrisoria rispetto agli introiti che ne ricava. È un sistema che capitalizza sulla debolezza dei cittadini. Noi intanto formiamo operatori, forze dell’ordine, gestori di sale, e cerchiamo di cambiare la cultura».
Il SerD di Cosenza – ma anche quello di Catanzaro funziona - si propone come modello per tutta la regione, anche se la carenza di personale in territori come Vibo Valentia o la zona ionica cosentina resta un problema serio. «Molti concorsi vanno deserti, la sanità pubblica non è più attrattiva. Ma noi resistiamo. Questo non è solo un lavoro, è una scelta di vita».
Con uno sguardo al futuro, il dottor Calabria non si arrende: «Il fenomeno è arginabile, ma bisogna agire. Serve una medicina di iniziativa, non passiva. Ci vuole umanità, multidisciplinarietà, presenza».
Il suo appello finale è chiaro: «A scuola e in famiglia siate vigili. Ai primi segnali, non chiudete gli occhi: rivolgetevi ai servizi specialistici. La rete esiste, la soluzione è possibile».