Continua il viaggio de IlReggino.it nell'universo carceri. Le mafie si battono sul terreno della cultura e con una seria attività di prevenzione dei reati e rieducazione. Abbiamo approfondito il tema con la garante Giovanna Russo che, mantenendo il faro puntato sulla tutela dei diritti e della giustizia, ha guardato ai giovani con uno sguardo profondo
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Diritti, giustizia, legalità e quella necessaria inderogabilità nell’affrontare queste tematiche guardando al futuro e, quindi, ai giovani. Da qui siamo partiti per approfondire con il garante regionale delle persone detenute, l’avvocato Giovanna Russo, i temi della detenzione e le emergenze relative al carcere questa volta, però, guardando ai minori.
Se è vero che la missione rieducativa è sempre più in crisi è altrettanto vero che quando a dover essere rieducato è un ragazzo gli interventi non sono derogabili. In questi mesi assieme ad alcuni suoi colleghi di altre regioni lei sta sempre utilizzando sempre più a cosa sia realmente il ruolo del garante regionale per i diritti delle persone private della libertà personale punto quando si parla dei privati della libertà personale si intendono anche minori autori di reato.
Desideriamo tornare a parlare con lei proprio perché vogliamo soffermarci anche alla luce di fatti di cronaca che hanno investito il territorio calabrese sui giovani e sulle sfide che ci attendono. Qual è il suo punto di vista a riguardo?
Guardi nutro una enorme speranza nei giovani e nelle future generazioni e ritengo, ringraziando la scuola per l’importante e costante impegno quotidiano, che tutti gli sforzi che compiamo quotidianamente anche quando siamo soli e ci troviamo una parte contro, che il senso del dovere e il bene che cerchiamo di seminare siano radicati nella più alta prospettiva di cambiamento cui una società che voglia dirsi civile debba ambire.
Sant’Agostino ci dice che, se vogliamo che il mondo sia un posto migliore, dobbiamo iniziare da noi stessi, dobbiamo iniziare dalla nostra vita, dal nostro cuore” aggiungo che dobbiamo farlo riflettendo su cosa avremmo voluto che gli adulti facessero quando i giovani eravamo noi. Il mondo ha estremo bisogno della bellezza dei giovani, soprattutto in questo tempo lacerato da guerre e violenze, per diffondere la pace, per arginare il linguaggio dell’odio e togliere consenso alla cultura mafiosa.
Se ricordiamo Paolo Borsellino diceva "Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo." Risiede in questo quella scommessa di civiltà che ancora non siamo riusciti a vincere malgrado gli innumerevoli sforzi e i segnali, seppur timidi, di cambiamento che nel tempo abbiamo registrato.
Quella dei giovani è una tematica che chiama ciascuna istituzione a interrogarsi se stiamo facendo il possibile. Lo stiamo facendo?
Preliminarmente le condivido una riflessione personale sulla quale sto facendo analisi con un gruppo di docenti e ricercatori: quanto negli ultimi anni abbiamo utilizzato strumenti d’intervento mirati e quali i metodi di analisi che un nuovo approccio scientifico preventivo volto ad arginare quanto più possibile un fenomeno in aumento: la commissione di reati e una crescita esponenziale di fatti di violenza tra i ragazzi.
Secondo i dati diffusi dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, al 31 dicembre dello scorso anno erano 14.968 i minorenni e giovani adulti in carico agli uffici di giustizia minorile in Italia, circa il 5% in più rispetto ai 14.214 di fine 2023. Dentro questo totale, però, è la componente detentiva a crescere in modo preoccupante: i ragazzi ristretti in comunità e negli istituti penali per minorenni sono passati da 1.444 a fine 2023 a 1.707 a fine 2024, con un incremento di circa il 18% in un solo anno.
La tendenza non si è fermata nel 2025. I giovani presenti nelle carceri minorili a marzo 2025 erano 623, a fronte di una capienza regolamentare di 559 posti: un tasso di affollamento superiore al 110%, in un settore che storicamente era riuscito a evitare il sovraffollamento tipico delle carceri per adulti.
Con una grande prevalenza di reati contro il patrimonio (furti, rapine, danneggiamenti) e un peso crescente delle violazioni della legge sugli stupefacenti. I reati contro la persona (lesioni, risse, violenze) rappresentano circa il 23% dei reati attribuiti ai ragazzi detenuti e circa il 31% dei reati dell’intera utenza dei servizi della giustizia minorile: ciò significa che non sono solo i reati più gravi a finire in carcere, ma continua a esserci una forte componente di devianza “minore” e marginalità che viene gestita con la risposta detentiva.
Ma la domanda che lei mi suggerisce è: Chi sono i ragazzi dietro le sbarre?
Al 15 agosto 2025, i Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi della Giustizia Minorile, dati ufficiali ministero giustizia, presenti nei Servizi residenziali erano 1.781 di cui 553 negli istituti penali per minori. Le ragazze sono una piccola minoranza: intorno al 3% dei presenti.
Gli stranieri sono circa la metà della popolazione detenuta: al 29 febbraio 2024 rappresentavano circa il 51% dei presenti negli IPM; a fine 2024, i ragazzi stranieri in carcere minorile risultavano quasi 300, pari a poco meno del 50% del totale. Il sovrapporsi tra migrazione, povertà educativa e giustizia minorile è evidente: i minori stranieri hanno più difficoltà ad accedere a misure alternative al carcere, mancano di reti familiari solide e spesso vivono in condizioni abitative e lavorative precarie.
A questo si aggiunge il tema, spesso invisibile, dello sfruttamento. I rapporti di Save the Children sulla tratta minorile mostrano che in Italia centinaia di adolescenti vengono usati per sfruttamento sessuale, lavorativo o per attività criminali, con un rischio elevato di entrare nel circuito penale più come anello debole di reti criminali che come veri “delinquenti”.
Se si allarga lo sguardo oltre il perimetro della giustizia penale, emerge un quadro coerente: secondo stime diffuse nel 2025, in Italia sarebbero circa 336 mila i minori tra 7 e 15 anni coinvolti in forme di lavoro minorile.
Lavoro precoce, abbandono scolastico, quartieri privi di spazi educativi e culturali, famiglie in difficoltà economica: è in questo terreno che crescono microcriminalità, piccoli furti, spaccio di strada. In molti casi i reati sono un sintomo – della povertà, dell’assenza di alternative – più che una scelta consapevole di devianza.
Lei parla spesso di prevenzione quale unica strada razionale obbligatoriamente percorribile. Perché?
Avete mai visto in volto i segni del tempo e della sfiducia un giovane adulto ristretto e un adulto ristretto? Quante volte sono crollati duranti i colloqui facendo emergere le loro spaccature: figli di madri che si prostituivano in casa, figli di padri che violentavano le madri perché sotto effetto di sostanze, figli di genitori tossicodipendenti.
O forse pensiamo che non ci riguardi e che i figli della borghesia sono esenti da questi rischi? Ci sono ruoli che più di altri ti fanno perdere il sonno e forse ti tolgono anche il respiro quando esci da un istituto penale minorile o anche per adulti o da una comunità e pensi: poteva essere mio figlio.
È una domanda che dovremmo porci tutti. Prevenire non significa affatto “giustificare” i reati dei ragazzi, ma intervenire per tempo, prima che la devianza diventi carriera criminale. Vengono rapiti da un lusso inesistente, da un potere che è solo sopraffazione e da miti che viaggiano a ritmo di like ma che li lasciano sempre più poveri, soli e isolati. Imprigionati in pensieri e distorsioni o, peggio, alterazioni del pensiero.
Nella solitudine delle loro vite diventano sempre più esposti al rischio che quell’indotta alterazione comportamentale diventi reato nel momento in cui non raggiungono un risultato.
La prevenzione si realizza con l’ottimizzazione delle risorse che prevedano massicci investimenti nel welfare di comunità con progettualità specifiche. Penso: alla scuola aperta tutto il giorno, con doposcuola, sport, laboratori e musica nei quartieri più difficili; Équipe miste scuola– servizi sociali – sanità per intercettare precocemente disagio psichico, dipendenze, violenze domestiche; sostegno economico e psicologico alle famiglie fragili, perché la povertà è spesso la prima spinta verso lo sfruttamento dei minori e la microcriminalità; lavoro legale, tirocinio e formazione professionale già durante la messa alla prova o la misura penale esterna: offrire un’alternativa concreta prima e dopo il processo e infine un migliore e sempre più massiccio impiego di risorse per l’utilizzo della giustizia riparativa, in cui il ragazzo si confronta con la vittima e con la comunità, comprende l’impatto del gesto e viene accompagnato a riparare, per quanto possibile, il danno.
Anche dentro gli IPM qualcosa si muove: nel dicembre 2025 è stato avviato, ad esempio, un corso per esperti cyber rivolto ai ragazzi detenuti, frutto di un protocollo tra il Ministero della Giustizia e soggetti del mondo della cybersecurity. L’idea è trasformare la pena in occasione di formazione e competenze spendibili nel mercato del lavoro.
La cybersicurezza intesa come una nuova forma di alfabetizzazione: diffondere cultura della sicurezza nelle carceri minorili, sensibilizzare sui rischi legati all’uso del digitale, fornire strumenti e formazione per promuovere comportamenti corretti online, prevenire fenomeni come cyberbullismo, pedopornografia e furto d’identità, sviluppare competenze digitali trasversali e orientare i giovani verso percorsi specialistici nel campo della Cyber Sicurezza.
Percorsi che oggi più che mai rappresentano anche una porta d’ingresso nel mondo del lavoro fortemente voluti con la sigla di un Protocollo ministeriale
Ma se questi progetti non vengono accompagnati da una riduzione del ricorso al carcere e da un investimento strutturale sul territorio, rischiano di essere solo isole virtuose in un mare che continua a crescere?
Dietro ogni numero c’è un volto, una storia, una possibilità ancora aperta. Il boom delle presenze negli istituti penali minorili non dice solo qualcosa sui ragazzi, ma soprattutto su di noi: sul modello di sicurezza che scegliamo, sul grado di fiducia che riponiamo nell’educazione, sull’idea stessa di futuro che vogliamo offrire alle nuove generazioni.
I dati del 2024–2025 raccontano un bivio: da un lato una strada più facile, fatta di risposte penali rapide, decreti emergenziali, celle sempre più piene; dall’altro un percorso più faticoso, che passa per scuola, servizi sociali, politiche abitative, lavoro dignitoso, ascolto e presa in carico come dicevo prima.
La prima strada inevitabilmente determina un aumento in termini % delle statistiche della detenzione minorile, senza assicurare sicurezza una volta che tornano in libertà. La seconda riduce realmente i reati, ma chiede coraggio, risorse e tempo. Se vogliamo che i minori autori di reato restino un’eccezione e non diventino la normalità, non basta indignarsi quando un fatto di cronaca scuote l’opinione pubblica.
Serve una scelta chiara: investire in prevenzione ancora di più. Perché ogni ragazzo che entra in un IPM è, prima di tutto, un fallimento collettivo del sistema educativo, sociale e politico che avrebbe dovuto intercettarlo prima ecco perché mi sono soffermata sull’importanza della formazione, del lavoro e dell’istruzione come solide basi per una nuova vita.
In Calabria, la giustizia minorile non può prescindere dal contesto della ’ndrangheta. Lei come la pensa?
Da anni i magistrati dei tribunali per i minori lavorano per interrompere anche la “catena ereditaria” della criminalità organizzata, spesso utilizzando la messa alla prova e l’allontanamento in comunità come strumenti per permettere a ragazzi e ragazze di uscire da famiglie pesantemente condizionate dalle cosche. In questo quadro si inserisce il potenziamento del programma “Liberi di scegliere”, che nel 2024 ha visto triplicare le richieste rispetto all’anno precedente.
La Relazione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, il dibattito istituzionale attuale in seno al Consiglio regionale per la mia parte di competenza richiamano più volte la necessità di maggiori risorse per la giustizia minorile e di una sinergia costante tra scuole, servizi sociali, autorità giudiziaria, uffici minorili e terzo settore.
Alla luce di questo, lo “stato” della giustizia minorile in Calabria nel 2025 può essere riassunto come un sistema istituzionale strutturato che affronta quotidianamente un carico crescente di procedimenti per reati gravi, in particolare violenze sessuali, tentati omicidi, rapine e reati online, che riflettono un disagio profondo e spesso radicato in contesti familiari caotici o criminali.
Un carcere minorile che proprio in questi giorni sta vivendo particolari disagi malgrado gli innumerevoli sforzi della Direzione e degli operatori. Un luogo che ospita una popolazione ristretta molto fragile, per la quale la detenzione rischia di essere più contenimento che reale occasione di cambiamento se non accompagnata da forti progetti esterni.
La vera partita, nel 2026, si giocherà sulla prevenzione: scuola e dispersione per rafforzare il tempo pieno e i presìdi educativi nei quartieri più esposti; investire in orientamento, laboratori, sport e cultura come strumenti di aggancio dei ragazzi “a rischio”; maggiore educazione digitale con percorsi sistematici su uso consapevole dei social, sexting, cyberbullismo, reati online e collaborazione tra scuole, polizia postale e procure minorili per interventi tempestivi.
Chiederò l’istituzione di un tavolo permanente con un focus specifico per i reati minorili; maggiore contrasto alle povertà familiari e azione sinergica di contrasto alla incultura; più risorse a USSM e comunità per i minori.
Quindi Garante cosa augurarci per il 2026?
Nel 2025 ho la giustizia minorile in Calabria ha permesso di riscontrare un sistema sotto sforzo ma di persone con elevatissime competenze a servizio dei minori. Malgrado i numeri in crescita, casi sempre più complessi, minorenni coinvolti in reati gravissimi, allo stesso tempo, sono state realizzate esperienze avanzate di giustizia riparativa, antimafia sociale e presa in carico educativa.
Le istituzioni regionali interessate potenzieremo tutti quei programmi volti a colpire il cuore del sistema emergenziale e virare sempre più verso una logica preventiva. La giustizia minorile calabrese, vuole prevenire, e non certificare esclusivamente i fisiologici fallimenti educativi.
Siamo perfettamente consapevoli della pervasività della criminalità organizzata in Calabria. Ma al contempo ci teniamo a sottolineare che la Calabria oggi è un territorio vivo con tante realtà positive impegnate a dimostrare che c'è una parte rilevante di cittadini e di calabresi onesti che non vuole assolutamente essere associata alla ndrangheta o, peggio, a forme di omertà e complicità che la possano favorire.
Persone e cittadini consapevoli, giovani responsabili che la forma più alta di potere è la responsabilità che ciascuno di noi ha degli uni verso gli altri. Personalmente credo che non basti chiedere alla politica, alle amministrazioni alle istituzioni ma che in primis tutti, come cittadini siamo chiamati anche a proporre e fare la nostra parte, quella che ci assegna la costituzione che è il primo dei testi antimafia lì dove ci parla dei principi di uguaglianza, di democrazia, di giustizia sociale e quindi di libertà.
Sconfiggeremo le mafie solo quando la nostra società sarà in grado di fornire come diritti ciò che invece ancora alcuni spacciano per favori, saremo in grado di sconfiggere le mafie quando non ci limiteremo a chiedere un cambiamento, ma lo testimonieremo in opere, con le nostre scelte e i nostri comportamenti, con il nostro agire e il nostro perseguire un fine più alto che non è quello personale ma collettivo.
Questo dovrà essere il cambiamento che per il 2026 e soprattutto per i nostri giovani. Sono fiduciosa delle sinergie istituzionali regionali e nazionali che tutti insieme nessuno escluso riusciremo a mettere in campo ciascuno per la nostra parte di competenza.

