Giuseppe Borrelli è diretto, schietto. È tra i magistrati più stimati dai colleghi per la sua solida preparazione giuridica, per la capacità di dire le cose come stanno, senza giri di parole, senza calcoli. La giurisdizione per lui è una cosa seria. È al centro di tutto. Non guarda in faccia nessuno. E proprio per questo, nel tempo, ha guadagnato rispetto anche fuori dai palazzi di giustizia.

Ora arriva a Reggio Calabria, terra difficile e insidiosa, dove il potere criminale ha radici profonde e ramificazioni tentacolari. Qui la ‘ndrangheta ha assunto nel tempo forme ancora più pervasive e cangianti. Ma Borrelli non parte da zero: ha conosciuto la mafia dei Mancuso (e non solo) a Vibo Valentia, quella dei clan confederati a Cosenza, e ora si prepara a raccogliere l’eredità di Giovanni Bombardieri, chiamato a guidare la procura di Torino.

Il richiamo al senso dello Stato

Nel corso della sua esperienza alla Dda di Catanzaro, dove ha ricoperto il ruolo di procuratore aggiunto, Borrelli ha pronunciato parole che oggi suonano come un monito e una dichiarazione di intenti valida per tutta la Calabria: «Gli operatori di polizia giudiziaria che vengono a Catanzaro devono capire che vengono in una terra sensibile e che non vengono a spendere gli inverni in attesa che arrivi l'estate, cosa che per la verità hanno fatto in pochi, perché il livello qualitativo delle forze di polizia e l'impegno che hanno profuso nello svolgimento della loro attività è stato sicuramente eccezionale», disse al termine di una conferenza stampa. Aggiungendo: «Ai cittadini calabresi dico che loro devono pretendere che lo Stato abbia nei confronti della Calabria l'attenzione che ha nei confronti di tutte le altre regioni d'Italia, che invii qui le sue migliori risorse, perché è una regione che in questo momento ne ha bisogno». Ed infine: «Solo in considerazione, e solo se i cittadini calabresi saranno in grado di svolgere una pressione in questo senso, credo che le cose potranno continuare come oggettivamente è avvenuto in questi ultimi anni, perché il livello qualitativo delle forze di polizia che io lascio è decisamente molto superiore a quello che io ho trovato».

Una visione chiara, quella di Borrelli. Che sa bene dove sta andando. E che proprio per questo ha sempre chiesto – e continua a chiedere – allo Stato di non voltarsi dall’altra parte. Di portare in Calabria le sue migliori energie, le sue forze più preparate, i suoi uomini migliori. Solo così la partita si può giocare alla pari.

«Io tifo Napoli»

Borrelli ha anche un’altra passione, forte, quasi viscerale: il Napoli. In passato lo seguiva persino in trasferta, viveva il calcio con l’intensità di chi ha il cuore partenopeo. Da maggio scorso porta il tricolore sul petto. Ma la maglia azzurra - per lui - non è solo sport. È soprattutto senso di appartenenza.

E forse è proprio da questo impasto - rigore giuridico, onestà intellettuale, passione per la verità e radici forti - che nasce la figura di un magistrato pronto ad affrontare l’ennesima sfida in una terra che ha bisogno di rigore e fiducia. Questo è Giuseppe Borrelli.