Nel Salone degli Specchi del Palazzo della Provincia si è tenuta la presentazione del libro Io e la distrofia. “Il mio percorso dal rifiuto all’accettazione”, di Francesco Ferrise, un evento che ha assunto, sin dai primi minuti, il valore di una riflessione collettiva sulla fragilità umana, sulla dignità dell’esperienza individuale e sull’urgenza di abbattere barriere – fisiche, sociali, interiori – che ancora troppo spesso confinano chi vive una malattia nel territorio dell’invisibilità.

L’incontro, moderato dal professor Alessandro Sebastiano Citro, docente del Liceo Fermi Polo Brutium, si è aperto con la lettura di una lettera inviata dalla dottoressa Rosaria Succurro, presidente della Provincia di Cosenza fino a poche settimane fa. Pur non essendo più in carica, ha voluto far sentire la propria voce, sottolineando l’importanza di un libro che «porta al centro non la malattia, ma la persona», e che restituisce alla disabilità il suo volto più autentico: quello di un cammino complesso, ma anche profondamente umano. Una scelta, quella della lettera, che ha reso ancora più evidente la volontà istituzionale di accompagnare un percorso di consapevolezza che riguarda l’intera comunità.

Durante il suo intervento, il direttore di LaC News24, Franco Laratta, ha pronunciato parole destinate a lasciare un segno, introducendo con incisiva lucidità il tema della vulnerabilità universale: «Siamo tutti portatori di handicap - ha detto  –, alcuni di handicap fisici, altri mentali». Una provocazione calcolata, che ha aperto lo spazio a un’idea più ampia di fragilità, sganciata dal solo significato clinico e reinterpretata come condizione intrinseca dell’essere umano. Laratta ha poi richiamato un concetto pasoliniano che ha fatto vibrare l’aria, come un monito: «Bisogna educare i figli alla sconfitta». Non alla resa, ma all’ascolto delle proprie crepe, alla capacità di guardare le cadute come parte integrante del cammino.

Inoltre, il direttore ha offerto una collaborazione su LaC News24, in cui Francesco può scrivere degli articoli sul web. Ferrise con grande entusiasmo ha accettato.

Sul tema dell’accettazione – uno dei nuclei portanti del libro di Ferrise – si sono soffermati anche gli altri relatori: la professoressa Rosita Paradiso, dirigente scolastica del Liceo Fermi Polo Brutium, il professor Fiore Manieri, docente dello stesso istituto. Ognuno ha offerto una prospettiva diversa ma convergente: l’accettazione non come approdo rassegnato, bensì come atto di coraggio, come gesto quotidiano con cui imparare a stare dentro la propria storia, anche quando è scomoda, anche quando chiede più di ciò che sembra possibile dare.

Ampio spazio hanno dedicato al tema delle barriere architettoniche, affrontate non solo come ostacoli materiali – gradini, marciapiedi impervi, strutture pubbliche inadatte – ma come metafora più vasta delle barriere mentali che continuano a segnare il nostro tempo. In questo senso, l’inadeguatezza degli spazi diventa il riflesso di una cecità culturale: là dove l’architettura non accoglie, spesso nemmeno la società lo fa. Le parole dei relatori hanno dato voce alla necessità di ripensare gli ambienti urbani e scolastici, affinché diventino luoghi realmente accessibili, capaci di restituire autonomia, dignità e possibilità. Perché una città senza barriere non è soltanto una città inclusiva: è una città che ha scelto di guardare in faccia le proprie responsabilità.

Poi è intervenuto l'autore del libro Francesco Ferrise, protagonista di una narrazione che non cerca pietà ma comprensione, non pretende elogi ma ascolto. Ha parlato della scrittura come di una vera e propria valvola di sfogo, uno strumento salvifico con cui trasportare all’esterno ciò che spesso resta imprigionato nei pensieri più bui: la paura, la rabbia, la fatica, ma anche la forza che nasce quando si impara a nominare il proprio dolore. La scrittura, per Ferrise, non è solo un atto creativo: è un modo per elaborare, per resistere, per restituire senso a ciò che sembra minarlo.

D'altro canto Francesco non può che essere un esempio: nonostante le difficoltà è riuscito a diplomarsi e poi a laurearsi, grazie anche e soprattutto a sua madre che lo segue costantemente, ovunque.

Ha ricordato, inoltre, quanto sia importante prendere a cuore i problemi sociali, perché la storia di una sola persona può diventare la storia di molti, e la disabilità, per essere compresa, ha bisogno che la comunità intera vi si avvicini senza timore, senza imbarazzo, senza falsi pudori.

All'incontro hanno partecipato gli studenti, che hanno potuto ascoltare una testimonianza di autentica umanità ed emozionalità. Inoltre, gli stessi studenti, hanno sottoposto all'autore le loro domande.

Il messaggio finale dell’incontro è racchiuso proprio nel titolo del libro: Io e la distrofia. C’è un “io” che esiste prima e oltre la malattia, e c’è un “e” che separa, ma anche connette, senza mai identificare. Francesco non è la distrofia: la attraversa, la affronta, ma non ne è definito. E in questo equilibrio fragile e ostinato si disegna la verità più potente dell’intera giornata: riconoscere la fragilità come parte di noi significa già, in qualche modo, aver iniziato a superarla.