La più bella d’Italia è Katia Buchicchio, 18enne di Anzi (Potenza), che ha conquistato la corona “tricolore” nella serata conclusiva andata in scena lunedì 15 settembre dal Pala Savelli di Porto San Giorgio e trasmessa in diretta streaming su San Marino Tv e RaiPlay. Nel pathos finale della proclamazione con la TOP3 delle pretendenti schierate sul palco, la lucana Buchicchio (Miss Basilicata) ha avuto la meglio su Asia Campanelli (Miss Marche) e Fanny Tardioli (Miss Umbria).

Proprio la finale del concorso ha sollevato un'ondata di perplessità e delusione. Se da un lato la vittoria della giovane lucana segna un momento storico per la propria regione, dall'altro la modalità di selezione e la conduzione hanno suscitato perplessità anche da chi ha semplicemente assistito dalla poltrona di casa.

Il format della finale, condotto da Nunzia De Girolamo, più che celebrare l'eleganza e la bellezza, ha virato volutamente verso un vero e proprio "talent show". Le classiche sfilate e le prove di portamento, elementi distintivi del concorso, sono stati messi in secondo piano in favore di esibizioni di canto, ballo e recitazione, valutate da una giuria d'eccezione, composta da nomi noti del mondo dello spettacolo: Alba Parietti, Francesca Pascale, Bianca Luna Santoro, Maurizio Casagrande e Rossella Erra.

Diciamoci la verità, non che sia storia ma anche nel passato le altre Miss vincitrici non si sono tutte distinte per doti artistiche, qualcuna certamente, tante altre si limitavano a funzioni di rappresentanza. Una scelta che ha lasciato l'amaro in bocca a molte, indiscutibilmente meritevoli di più attenzioni e il cui sogno si è infranto non per la bellezza, ma per risicate doti artistiche. Questa nuova formula ha sollevato un interrogativo: tra i requisiti di partecipazione con la conseguente valutazione sono state inserite anche le doti artistiche?

Molti rimpiangono i tempi d'oro del concorso, magistralmente condotto dal compianto Fabrizio Frizzi. La sua eleganza e la sua professionalità elevavano la competizione a un evento di grande spessore, lontano dalla povertà di contenuti e dalla confusione che ha caratterizzato l'edizione di quest'anno. La conduzione di Fabrizio Frizzi, lontano dal clamore dei moderni talent show, era una formula che metteva al centro la bellezza, il portamento e la semplicità, valorizzando al massimo ogni aspetto della competizione. Sotto la sua guida, Miss Italia non ha mai perso la sua identità. Le prove di talento, se presenti, erano complementari e mai predominanti. L'attenzione principale era rivolta alle sfilate in abito da sera e in costume, ai momenti di intervista e alla capacità delle ragazze di esprimere la propria personalità.

La giuria aveva il compito di valutare l'insieme, senza cedere a dinamiche da show. Il tutto si svolgeva con un ritmo solenne e avvincente, scandito dalle esibizioni musicali e dagli interventi degli ospiti. Era un modello di conduzione che onorava la tradizione rendendo la serata un evento e la conduzione di Frizzi avrebbe dovuto lasciare un'eredità importante. L’ultima serata, quella della finale, si è macchiata come artisticamente e tecnicamente imbarazzante, con microfoni non funzionanti e con un passaggio dello stesso strumento “da tizio a caio” che impallava le riprese, culminata in un clamoroso errore, il nome, cioè, della vincitrice pubblicato di poco in anticipo nei sottopancia televisivi rovinando il momento culminante della proclamazione.

Attenzione, sicuramente la vincitrice è meritevole del riconoscimento, non è questo in discussione, probabilmente avrebbe raggiunto il successo anche con la “formula classica”, resta però la delusione di chi ha visto il proprio sogno svanire a causa di un format che ha snaturato l'essenza stessa del concorso di bellezza. Un epilogo amaro che getta un'ombra su un'edizione che avrebbe dovuto celebrare la bellezza italiana ma che ha finito per sollevare più dubbi che certezze. Viva Miss Italia, non sempre però l’antico l'adagio "tale padre, tale figlio" è rispettato, non è detto che la figlia di un sarto sia abile col filo e l'ago.