Nelle motivazioni il film del delitto dall’arrivo del rampollo del clan alla palestra Testudo alle 10:44 fino all’intervento dei carabinieri alle 11:01. Filmati, testimonianze e consulenze medico-legali confermano come il capo ultrà dell’Inter pentito abbia colpito mortalmente il calabrese all’interno della Smart: letali le ferite al collo
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L’auto di Antonio Bellocco arriva davanti alla palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio alle 10,44. Non abbandonerà mai quello spiazzo. Il rampollo del clan di Rosarno morirà lì, trafitto dalle coltellate sferrate da Andrea Beretta, suo socio in affari, compare nella scalata alla Curva Nord e ai profitti del tifo criminale. Meno di 17 minuti per uccidere Bellocco: in certi casi il tempo è una variabile fondamentale. Nel caso di Beretta, che diventerà collaboratore di giustizia, la rapidità dell’azione servirà per evitare le aggravanti. Per lui, ex capo degli ultrà nerazzurri, una condanna a 10 anni di carcere. La ricostruzione del delitto occupa parte delle motivazioni della sentenza Doppia Curva, dal processo (con il rito abbreviato) sulle infiltrazioni nelle tifoserie di Inter e Milan.
I tasselli della vicenda sono stati rimessi insieme grazie a testimonianze iniziali e soprattutto all’analisi dei filmati del sistema di videosorveglianza della struttura sportiva, che ha permesso di seguire con precisione i movimenti di tutte le persone presenti, compresi l’imputato Andrea Beretta e la vittima.
Pochi minuti per uccidere
È il 4 settembre 2024: Bellocco arriva davanti alla palestra. Guida una Smart bianca, saluta Beretta e due altri uomini. Bellocco e Beretta si entrano nell’auto, gli altri tornano nella struttura. Dopo pochi minuti, i filmati mostrano una sequenza concitata di movimenti attorno alla Smart, con l’apertura e la chiusura delle portiere e l’intervento dei due uomini prima rientrati in palestra, mentre all’interno del veicolo si svolgeva la tragedia.
Accade tutto in un amen: l’auto procede per pochi metri in retromarcia, poi si blocca prima di riprendere la propria corsa «come se il conducente avesse perso il controllo del veicolo». Sono le 10:47: due minuti dopo, Beretta esce dall’abitacolo dal lato del conducente e gira intorno all’auto: a quel punto, resta di nuovo da solo fuori dall’auto per 10 secondi, si toglie il gilet ed entra con mezzo busto nella Smart, dove sembra «prima riporre un oggetto e poi percuotere, evidentemente, Bellocco ancora all'interno del veicolo, fino al nuovo intervento» di uno degli amici rientrato poco prima in palestra. Sono le 10:50, l’omicidio si consuma in pochi minuti.
Le ferite mortali al collo per Bellocco
Beretta, secondo la ricostruzione, avrebbe colpito Bellocco con un coltello, provocandogli ferite mortali al collo. La scena è stata documentata anche da una consulenza medico-legale che ha rilevato la posizione del corpo di Bellocco, riverso supino sui sedili della Smart, e le tracce ematiche all’interno e all’esterno del veicolo. Beretta, invece, riportava ferite compatibili con l’uso delle armi durante la colluttazione: una ferita da arma da fuoco all’altezza dell’anca sinistra e una ferita da arma da taglio alla mano destra sul palmo.
Sulla scena del crimine due armi: il coltello utilizzato dall’assassino e una pistola Beretta modello 98 Fs calibro 9x21 con matricola cancellata, priva di caricatore (rinvenuto all’esterno del mezzo) e senza colpo in canna ma con il cane abbattuto, segno che un colpo in effetti era stato esploso. Nell’abitacolo c’era infatti un solo bossolo.
All’arrivo dei Carabinieri, alle 11:02, Beretta si avvicina a mani alzate. Negli interrogatori davanti ai pubblici ministeri, conferma di aver ferito mortalmente Bellocco con il coltello e di essere proprietario anche della pistola, utilizzata, secondo la sua ricostruzione, da Bellocco stesso poco prima dell’azione omicidiaria.
Le prove raccolte – testimonianze, filmati e consulenze medico-legali – consentono di ricostruire l’omicidio come un atto volontario e diretto a causare la morte della vittima. Le lesioni letali sono quelle che hanno raggiunto Bellocco al collo e alla vena cava superiore.
Per il gup la condotta dell’imputato integra dunque sia il reato di omicidio volontario sia i reati di detenzione e porto di arma comune da sparo in luogo pubblico, aggravati dalla misura di sorveglianza speciale a cui era sottoposto.
Il No alle aggravanti per Beretta
La tesi difensiva delle parti civili, eredi di Bellocco, ha invocato l’aggravante della premeditazione. Tuttavia, sulla base dei dati processuali, emerge – secondo le valutazioni del giudice per l’udienza preliminare – come il breve intervallo temporale tra il momento in cui Beretta si è armato all’esterno della palestra e l’omicidio, insieme all’assenza di ulteriori elementi indicativi di pianificazione – quali preorganizzazione, presenza di complici o strumenti per occultare i fatti – non consenta di configurare la premeditazione secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte.
Analogamente, non risulterebbero sussistenti altre aggravanti, come le sevizie o l’approfittamento di condizioni di vulnerabilità della vittima, mentre la circostanza dei rapporti tra Beretta e Bellocco esclude l’aggravante dei rapporti amicali o di fiducia. La frequentazione dei due, infatti, era motivata da interessi economici e dalla gestione di affari legati all’ambiente calcistico, come documentato dalle intercettazioni. «Non è, del resto, un mistero (anzi, è una circostanza del tutto pacifica, per come riscontrato dall'intensa attività di intercettazioni di cui si è dato conto) che Bellocco – si legge in sentenza – fosse giunto nel territorio lombardo proprio per ampliare il proprio giro di affari legati all’ambiente calcistico e, in generale, dello stadio, organizzandosi, per il tramite di Beretta, anche attraverso la ricerca di una sistemazione lavorativa e di un alloggio».



