La catastrofe sismica del 1783 cambiò per sempre il volto della Calabria centro-meridionale, la impoverì, causò pesantissime conseguenze sociali ed economiche per decenni. Dal 5 febbraio al 28 marzo di un anno rimasto negli annali dei più spaventosi terremoti d’Europa furono cinque le terrificanti scosse con una magnitudo altissima: gli studiosi nei loro calcoli a distanza di oltre due secoli le ritengono, mediamente, tra 7,1 e 5,9.

Le terre a cavallo dello Stretto, compresa Messina, e la gran parte della Calabria Ultra (le odierne province di Reggio, Vibo, e Catanzaro) vennero letteralmente sconvolte: le dettagliate relazioni del tempo e gli storici raccontano di circa 50mila morti (tra vittime dirette, feriti, ammalati), nonché di 180 tra città, paesi e villaggi rasi al suolo. Si immagini che le scosse di assestamento furono migliaia, per circa tre anni consecutivi, alcune delle quali anche potenti, che finirono di radere al suolo quel poco che era stato risparmiato dai fenomeni tellurici più devastanti.

La Calabria perse un patrimonio immenso anche in termini storico-architettonici, in quanto eredità molto pregiate della storia medievale e rinascimentale vennero totalmente distrutte: tra queste il Convento domenicano di Soriano Calabro e la Certosa di Serra San Bruno. Reggio e Messina, che poi nel 1908 subiranno danni ancora più colossali, vennero colpite duramente. La scossa del 5 marzo, scatenatasi a mezzogiorno, ebbe come epicentro la bella Oppido (oggi Oppido Mamertina nata dalla ricostruzione avvenuta nei pressi) e durò due lunghissimi e interminabili minuti.

L’Ingv precisa che un terremoto di magnitudo 7 ha 32 volte più energia di uno di magnitudo 6, e mille volte più energia di uno di 5: si immagini, quindi, che livello di impatto tra potenza e durata di questa prima violentissima scossa, se già una magnitudo 4,5 è in grado di spaventare la popolazione di una città contemporanea. Le cronache del tempo offrono racconti strazianti: interi abitati trasformati in polverosi cimiteri, colline e montagne franate compresi interi centri abitati, corsi d’acqua deviati, formazione di paludi e laghetti causa l’ostruzione di torrenti, numerosi crateri di depositi sabbiosi (dovuti ai cosiddetti fenomeni di liquefazione), decine di migliaia di senzatetto… Il 6 febbraio, di notte, la seconda bomba sismica che generò, a seguito del crollo in mare di un costone di roccia, uno tsunami a Scilla. Maremoti avevano già colpito, il giorno prima, le coste di Messina e di Villa San Giovanni, con rovinose inondazioni registrate nell’area tirrenica, da sud fino a Capo Vaticano.

La popolazione non fece in tempo a razionalizzare l’accaduto che il 7 febbraio, verso le 20, la terra tremò ancora con la seconda violentissima bordata di magnitudo 6,7. Questa volta l’epicentro fu a Soriano Calabro. Due altri eventi sismici sconvolgenti colpirono la Calabria meridionale l’1 marzo (epicentro Polia e intensità 5,9), e il 28 marzo (magnitudo 7 ed epicentro a Borgia e Girifalco) con danni catastrofici in tutto l’Istmo di Catanzaro.

Tra le città più danneggiate, e che furono ricostruite da zero o quasi, Palmi, Polistena, Oppido, Seminara, Castelmonardo (oggi Filadelfia), Mileto, Serra San Bruno, Santa Cristina d’Aspromonte, Cinquefrondi, Casalnuovo (oggi Cittanova), Borrello, Bagnara, Scilla, Maida, Marcellinara, Girifalco, Stalettì, Cortale, Terranuova (oggi Terranova Sappo Minulio).

In questo contesto di lutti, in uno scenario davvero infernale e apocalittico, la storia di Scilla è unica nella sua drammaticità. La popolazione terrorizzata dalla prima scossa del 5 febbraio, e da quelle immediatamente successive, immaginò di abbandonare i crolli del paese e di trovare riparo sulla spiaggia e nelle barche tirate a riva. Il 6 febbraio, però, come accennato, la seconda violentissima crisi sismica fece franare in mare un voluminoso tratto di roccia che sovrastava la costa tirrenica: ne derivò in piena notte un tremendo tsunami con onde alte circa 8 metri che spazzarono la spiaggia e giunsero fin dentro l’abitato, uccidendo circa 2.000 persone tra le quali il principe Fulcone Ruffo, fuggito anch’egli dal Castello nella speranza di salvarsi.

La Corte Borbonica (a Napoli le prime informazioni giunsero dopo una decina di giorni) intervenne nominando un Vicario generale nella persona del nobile Francesco Pignatelli. Per recuperare fondi da destinare ai primi interventi di ricostruzione si istituì la Cassa Sacra incaricata di vendere proprietà possedute da istituzioni ecclesiastiche. Una delle conseguenze della tragedia fu anche l’approvazione di un regolamento antisismico, il primo della storia d’Europa, i cui effetti urbanistici si possono ancora oggi notare in diversi centri della Calabria (Filadelfia, paesi delle Serre, ecc.): strade più larghe, assetti regolari, case non oltre i due piani d’altezza ed altri limiti edilizi finalizzati ad aumentare la sicurezza. Calabria e terremoti: un argomento da non dimenticare mai!