La Statale 106, nel tratto che attraversa l’Area Grecanica, è molto più di una strada: è il simbolo della distanza tra le promesse e la realtà, tra gli annunci e la vita concreta di chi ogni giorno la percorre.

Si progettano ponti sospesi tra le sponde dello Stretto, si annunciano hub logistici internazionali, si evocano visioni di progresso e sviluppo. Ma intanto, per arrivare a quei cantieri immaginati, resta solo una striscia d’asfalto logora e pericolosa, dove ogni curva può diventare un addio.

In quel tratto di Calabria che dovrebbe essere porta e ponte verso il Mediterraneo, si muore ancora troppo spesso per il semplice diritto alla mobilità. E mentre si spingono conferenze stampa e slide sul futuro, la cronaca si affida al passato che non passa, fatto di ritardi, disattenzioni, dolori. Ogni incidente, ogni vittima, ogni buca non riparata diventa un atto d’accusa contro chi avrebbe dovuto fare. E non ha fatto.

Con le dimissioni di Roberto Occhiuto da Governatore, la politica calabrese si ritrova d’un tratto con molte più domande che risposte. L’annuncio, affidato ai social, non è passato inosservato: «Adesso sceglieranno i calabresi se il nostro lavoro dovrà proseguire o meno». È una frase che suona come un testamento politico – nonostante la ricandidatura annunciata - ma che in realtà apre il campo di battaglia della prossima campagna elettorale. Una campagna che, se vorrà dirsi credibile, non potrà ignorare i nodi strutturali che strangolano la Calabria reale. E tra questi, la Statale 106 è il nodo più urgente, più evidente, più doloroso.

Chiunque si candidi, da destra o da sinistra, non potrà più cavarsela con promesse generiche o impegni a lungo termine. Perché questa strada è ormai diventata una cartina di tornasole: non solo delle politiche infrastrutturali, ma della verità o meno della politica stessa. E i territori lo sanno. Lo sentono. E non sono più disposti a farsi prendere in giro.

A fine settembre 2024, i sindaci dell’Area Grecanica hanno scelto di fare ciò che da queste parti non accade spesso: partire, uniti, per Roma. A muoverli non la protesta, ma la richiesta di verità. Hanno varcato le porte del Ministero delle Infrastrutture con un dossier chiaro: incidenti, carenze strutturali, isolamento, rischio costante. Ad accoglierli, Matteo Salvini. Ad ascoltarli, lo staff tecnico. Ne è uscita una conferenza stampa piena di ottimismo, una nota ufficiale in cui si annunciavano impegni e nuovi step. Ma a distanza di mesi, quali sono i passi avanti effettuati? Le curve della 106 sono sempre le stesse, il manto stradale consunto, gli svincoli insicuri. E intanto il 2025 sta già segnando una statistica crudele. Non solo numeri, ma vite interrotte. Famiglie distrutte. Comunità segnate. È su questa realtà che si infrangono i buoni propositi. È su questo asfalto che si misura il fallimento delle promesse.

Eppure, mentre sul territorio la 106 continua a generare lutti, a Roma si ragiona di grandi strategie. Il governo ha rilanciato l’idea del Ponte sullo Stretto di Messina come opera cardine per lo sviluppo del Sud. Nei piani ufficiali, il porto di Saline Joniche dovrebbe diventare una delle basi logistiche fondamentali: il punto di partenza per lo smistamento di alcuni materiali.

Ma c’è un dettaglio che fa tremare ogni ipotesi: quel porto è insabbiato. E la strada che dovrebbe collegarlo al resto del mondo è la stessa 106 che oggi uccide. Pensare di muovere mezzi pesanti su quella tratta è una scommessa sulla pelle della gente. È qui che il paradosso si fa insostenibile: si sogna in grande, ma si costruisce sul nulla. Il rischio non è solo logistico. È politico, etico, simbolico. Perché se non si parte dalla messa in sicurezza di ciò che esiste, ogni progetto futuro rischia di crollare al primo tornante.

In questa Calabria sospesa tra futuro annunciato e presente ignorato, la Statale 106 è diventata uno spartiacque elettorale. Da una parte chi continua a considerarla solo una riga nei programmi, un argomento da campagna elettorale. Dall’altra, chi ogni giorno la percorre e ne conosce pericoli, limiti, assurdità.

Ora che la corsa alla guida della Regione è ufficialmente cominciata, sarà impossibile aggirare il tema. Chi si candida dovrà prendere una posizione chiara: o si investe subito e seriamente sulla riqualificazione dell’arteria ionica, oppure si continua con la recita. Ma questa volta gli spettatori non restano zitti. Lo hanno già dimostrato i sindaci, lo gridano le associazioni, lo pretendono i familiari delle vittime. Perché chi governa non può più nascondersi dietro tavoli tecnici e tempi lunghi, ma deve rispondere con scelte visibili, immediate, inequivocabili.

La 106 è un banco di prova: non delle intenzioni, ma della volontà politica vera. E nessun claim elettorale potrà sostituire l’asfalto.

Ma la 106 non è solo una sfida infrastrutturale. È il volto più visibile di una Calabria che aspetta e sopporta, che paga il prezzo dell’arretratezza mentre ascolta discorsi sulla modernità. È una metafora feroce, quella strada: racconta una regione che si dice centrale ma resta marginale, si proclama baricentrica ma viene abbandonata nei suoi collegamenti essenziali.

Ogni candidato, ogni partito, ogni coalizione sarà giudicata anche da questo. Perché qui le parole non bastano più. Servono cantieri, decisioni, tempi certi. E soprattutto serve rispetto.

Per chi è stanco di funerali annunciati, per chi sogna una terra dove la normalità non sia un miraggio, per chi sa che non esistono infrastrutture strategiche senza giustizia territoriale. La Statale 106 è la strada della verità: scorre tra gli slogan e li smentisce. Costringe la politica a guardarsi allo specchio. E chiede, con la forza cruda della realtà, se chi si propone di guidare la Calabria sia pronto a guidarla davvero.