Un no netto, motivato e destinato a essere ribadito pubblicamente oggi pomeriggio a Reggio Calabria, in occasione della presentazione del Comitato del No, presieduto dal procuratore Giuseppe Lombardo. È quello espresso dal procuratore Stefano Musolino, che in una lunga intervista entra nel merito della riforma della giustizia, spiegandone i rischi e smontando alcune delle narrazioni più ricorrenti a sostegno del cambiamento.
Secondo Musolino, il primo nodo critico riguarda il metodo con cui una riforma di tale portata viene sottoposta al giudizio popolare. «Riforme che hanno un tecnicismo così esasperato non siano risolte dalla politica nell'ambito di una capacità di mettere insieme tutte le esigenze e sono di fatto così rimesse ai cittadini che, capisco, hanno poche competenze, ma non per limiti, proprio perché la materia è particolarmente tecnica e complicata». Una complessità che rende difficile, sottolinea il magistrato, «intuire e percepire quali saranno le conseguenze di questa riforma».
Musolino chiarisce poi un punto spesso equivocato nel dibattito pubblico: «È una riforma che non ci riguarda come categoria nella misura in cui non tocca niente di quelle che sono le nostre prerogative». Il problema, dunque, non è corporativo. Il rischio vero è un altro: «Rischia, per quella che è la nostra prospettiva, per quello che vediamo, di mettere in discussione, mettere in crisi la capacità dei cittadini e la possibilità per i cittadini di potere trovare risposte adeguate dal sistema giustizia, ove questa riforma dovesse passare».
Tra gli argomenti più utilizzati dai sostenitori della riforma, Musolino cita quello della separazione dei ruoli attraverso la metafora sportiva. «Uno dei più chiari è quello della partita di calcio», spiega, «con il giudice paragonato all’arbitro della stessa squadra». Ma per il procuratore si tratta di un’immagine profondamente fuorviante. «È proprio una metafora sbagliata», afferma, perché «si immagina che il pubblico ministero giochi una partita contro l'avvocato e il giudice debba fare l'arbitro, e invece non è così».
Proseguendo nella stessa metafora, Musolino ribalta completamente l’assunto: «Il pubblico ministero può decidere di fare giocare liberamente l'altra squadra in una parte del campo, perché il suo obiettivo non è quello di giungere alla condanna dell'imputato ma di accertare la verità». In quest’ottica, se emerge che «c'è una parte del processo che, per un fatto di prossimità alla prova, è più vicina alla difesa dell'imputato, è lì che la difesa può dimostrare cose che il pubblico ministero fa fatica a dimostrare, e il pubblico ministero può lasciargli campo libero».
Non solo: «Il pubblico ministero può chiedere alla fine l’assoluzione, può fare addirittura autogol», osserva Musolino, rafforzando l’idea di una funzione che non è antagonistica ma orientata alla verità. «Perciò è proprio una metafora sbagliatissima».
La differenza di ruolo tra accusa e difesa, per Musolino, è chiara e legittima. «Il pubblico ministero, al contrario del difensore, condivide con il giudice la necessità di accertare la verità e di farlo in tempi ragionevoli». Il difensore, invece, «non ha il mandato di accertare la verità, ma di tentare di dimostrare l’estraneità del suo assistito ai fatti», e per farlo «può anche perdere tempo, buttare la palla in tribuna, simulare in campo di stare male». Tutto questo è funzionale, sottolinea, «alla tutela del diritto della libertà individuale».
Giudice e pubblico ministero, al contrario, «condividono un servizio pubblico, che è il servizio giustizia». Ed è per questo motivo che «la nostra Costituzione saggiamente aveva previsto di farli stare assieme». Una scelta che Musolino invita a rileggere anche alla luce del contesto storico: «Basta pensare a chi sono stati i padri costituenti del tempo e chi sono quelli che adesso approcciano a questa riforma: c'è una differenza di qualità e personalità piuttosto evidente, che si riflette poi sugli effetti che questa riforma può avere».
Argomentazioni che saranno al centro dell’incontro di oggi pomeriggio a Reggio Calabria, dove il Comitato del No, guidato dal procuratore Lombardo, presenterà ufficialmente le proprie ragioni. Un confronto che, nelle intenzioni dei promotori, punta a riportare il dibattito sulla riforma della giustizia dal piano degli slogan a quello delle conseguenze concrete per i cittadini e per la tenuta del sistema democratico.