Sabato 21 giugno, a partire dalle 17:00, con partenza da Piazza Loreto, si terrà il Pride di Cosenza. In merito, va subito chiarito che non si tratta soltanto di un corteo colorato, ma di un’azione pubblica e collettiva, capace di intrecciare libertà, dissenso e identità in modo tangibile.

Il Pride è un’occasione per esprimersi attraverso il proprio corpo. In quanto tale, è un atto che mira a resistere ai tentativi di omologazione operati da una società in cui la differenza di opinioni e comportamenti è fin troppo spesso marginalizzata.

Per cogliere appieno la portata di un gesto siffatto, è utile richiamare alcune tra le voci più autorevoli del pensiero contemporaneo. In particolare, può essere proficuo partire dalle posizioni espresse dalla filosofa statunitense Judith Butler, che ha descritto il genere (basti pensare a “Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity”, opera pubblicata nel 1990) non come qualcosa che si è, ma come qualcosa che si fa.

Visto da questa prospettiva, il genere è un processo performativo ininterrotto. Dunque, gesti, costumi, danze e gli altri aspetti che caratterizzano il Pride non si limitano al folklore, ma assumono il valore di dichiarazioni politiche. In altri termini: a parlare sono le azioni stesse, i corpi.

A tal proposito, è pressoché inevitabile evocare il pensiero del filosofo francese Paul-Michel Foucault e le sue riflessioni sul controllo e sulla normalizzazione dei corpi da parte delle istituzioni. A questo potere si contrappone il fare rivoluzionario di chi sceglie di non sottrarsi. Da qui, le affermazioni politiche diventano strumenti di rottura.

Ecco perché ogni passo di danza può farsi frenetico, ogni abito esagerato, ogni slogan urlato: l’eccesso, l’appariscenza, l’estro (naturalmente sempre nel solco pacifico che caratterizza il Pride) sono gesti di emancipazione, azioni volte a smascherare le ipocrisie del presente attraverso uno strumento che – dal Dadaismo al Surrealismo – è stato spesso utilizzato nel Novecento: lo shock visivo.

Scardinare i codici estetici per affermare che un altro modo di vivere è possibile: questo diventa il messaggio ultimo. Il tutto in un contesto in cui le contraddizioni appaiono sempre più evidenti.

Anche Cosenza, città che risente di una tradizione forte, ha già dimostrato – con Pride partecipati e trasversali – di possedere anticorpi culturali atti ad accogliere il cambiamento. È in questo scenario che si inserisce l’edizione 2025, alimentata da un’esigenza collettiva sempre più radicata.

In questo senso, il Pride si fa ponte tra marginalità e cittadinanza piena: una rivendicazione serena e, al contempo, decisa. A tal proposito, vale la pena riportare un’ovvietà: a essere chiesta non è affatto la mera tolleranza, ma il pieno riconoscimento; quanto si compie non mira alla sopportazione, ma verso la totale accoglienza.

Quanto detto non può essere relegato a un eccesso di gusto volto semplicemente a scandalizzare, come spesso si ascolta o si legge in vari commenti: si tratta di un’espressione di consapevolezza politica e sociale. In quanto tale, non è un evento riservato esclusivamente a chi si riconosce nella comunità LGBTQIA+. Tutt’altro: è per chiunque voglia abbracciare la pluralità della società contemporanea tramite una conquista quotidiana che, nel caso del Pride, attraversa i corpi e si riconsegna allo spazio pubblico come segno tangibile di una libertà condivisa.