C’è un prima e un dopo anche nella comunicazione politica. Prima: comizi, interviste, discorsi lunghi, argomentazioni faticose. Dopo: un telefono verticale, una musica di tendenza, un sorriso calibrato, un taglio video di dieci secondi. Benvenuti nella terza puntata del nostro viaggio (qui la prima e la seconda puntata): il regno di TikTok, dove la politica non parla più: performa. In questo ecosistema tutto deve essere immediato, brillante, emotivo. La complessità? Inutile. Il ragionamento? Un ostacolo. Il tempo? Il vero nemico.

Il leader non è più un leader: è un influencer come gli altri

Sulle piattaforme iper-visive, il politico non è più un decisore pubblico ma un personaggio da seguire. Un profilo fra tanti, immerso nello stesso flusso di balletti, prank, beauty routine e ricette lampo. Si adegua al formato, perché è il formato — non il contenuto — a determinare la visibilità. Così nasce la post-politica visuale: il messaggio diventa battuta, la visione diventa estetica, la complessità diventa emoticon e la strategia diventa trend.

L’argomentazione non scompare: viene considerata inutile Non è che manchi lo spazio per spiegare: manca la convenienza. Un’analisi di due minuti soccombe davanti a un video con tre tagli e un’espressione ammiccante L’algoritmo — come abbiamo visto nella prima puntata — non premia il pensiero, premia l’impatto immediato. Così, la politica impara ad abbreviare se stessa per restare galla.

Una generazione informa il proprio pensiero a ritmi di swipe

Il dato più inquietante non è che i politici siano su TikTok: è che milioni di giovani costruiscono le loro opinioni esclusivamente lì. Non cercano più approfondimenti, contesto, confronto: cercano un flusso continuo di micro-emozioni travestite da informazione.

È una dieta mediatica che sazia subito ma non nutre mai. Il rischio? Diventare cittadini sempre più manipolabili perché quando il messaggio politico è ridotto a un lampo, è molto più facile semplificare i problemi oltre il lecito, creare tifoserie invece di idee, vendere identità invece di progetti, manipolare emozioni invece di convincere menti.

La superficialità non è un incidente, è la norma funzionale del sistema. E così approdiamo a una politica che, pur di sopravvivere, si è consegnata alla logica del “video lampo”. Una politica che si svuota da dentro, taglio dopo taglio, trend dopo trend. Nella prossima puntata capiremo come questo linguaggio usa — e consuma — l’informazione stessa, trasformandola in contenuto che scade in 24 ore.