Croci, lapidi e memorie segnano la Jonica che è allo stesso tempo una speranza e un pericolo: la Calabria chiede sicurezza e un piano di ammodernamento per trasformarla in volano di sviluppo
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Oggi vi porto lungo la Strada Statale 106 “Jonica”, un’arteria di 491 chilometri che collega Reggio Calabria a Taranto, attraversando la costa ionica di Calabria, Basilicata e Puglia. La chiamano “la strada della morte”. È un grido di dolore, una ferita aperta, un simbolo di bellezza e tragedia. In questo viaggio, esploreremo la sua storia, le vite spezzate, il rapporto con le comunità locali, il ruolo della politica e il meraviglioso paesaggio che la incornicia. Ma non solo: ci immergeremo nelle bellezze di alcuni paesi attraversati, dove il passato della Magna Grecia si intreccia con il presente di una Calabria ferita ma viva.
È il 1928, l’Italia fascista sogna grandi infrastrutture. Nasce la Strada Statale 106, pensata per unire la costa jonica da Reggio Calabria a Taranto, seguendo il tracciato della Strada Europea E90. In Calabria, dove si snoda per 415 chilometri, la SS106 è più di una strada: è il filo che cuce insieme paesi, città e storie. Ma fin dall’inizio, il suo destino è segnato. Carreggiate strette, curve insidiose, attraversamenti nei centri abitati: la 106 non è mai stata pronta per il traffico moderno. Oggi, mentre la Puglia e la Basilicata hanno ammodernato i loro tratti, la Calabria resta indietro, con un tracciato a corsia unica che sembra fermo a un’altra epoca.
La “strada della morte”: un bollettino di guerra
La SS106 è un cimitero a cielo aperto. Dal 1996 al 2023, oltre 10.500 incidenti, 26.000 feriti, 750 morti. Solo tra il 2014 e il 2018, 107 vite spezzate, una media di 21 all’anno. Nel 2022, nei primi quattro mesi, 13 persone sono morte, una ogni nove giorni. Penso a Davide e Gabriele Origlia, cugini, morti a San Sostene nel gennaio 2022. O a Giuseppa Iamundo, stroncata a Bocale a maggio dello stesso anno. Le cause? Carreggiate anguste, mancanza di spartitraffico, guardrail obsoleti, scarsa illuminazione. E poi l’imprudenza: velocità, distrazione, sorpassi azzardati. Lungo la 106, le croci ai bordi della strada sono un monito costante. Ogni fiore, ogni lapide, racconta una storia interrotta.
Le comunità della 106: tra vita e rischio
La 106 è il cuore pulsante della Calabria jonica. Collega paesi come Locri, Badolato, Crotone, Sibari. Per chi ci vive, è l’unica via per il lavoro, il commercio, il turismo. Ma è anche una minaccia costante. A Badolato marina, un semaforo dovrebbe proteggere i pedoni che attraversano un ponte, ma le auto spesso ignorano il rosso. Gli anziani, come racconta Guerino Nisticò, rischiano la vita ogni giorno. L’Associazione “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106” parla di una “strage di Stato”. Le comunità si sentono abbandonate, intrappolate in un paradosso: la strada che le collega al mondo è anche quella che le mette in pericolo. Eppure, qui, la vita resiste. E per capirlo, dobbiamo fermarci in alcuni di questi luoghi.
Le radici: storie di Magna Grecia e tradizione
La 106 è anche un viaggio nella storia. Qui, i resti di Locri Epizefiri, una delle più importanti città della Magna Grecia, parla di un passato glorioso. Templi, teatri, necropoli: la 106 passa accanto a queste vestigia, come un ponte tra antico e moderno. A Locri, le feste religiose, come quella di San Giovanni, mescolano riti cristiani e pagani, con processioni che si snodano vicino alla strada, quasi a benedirla. Più a nord, a Badolato, il paese medievale arroccato guarda il mare. Qui, la tradizione della “fujtina”, il matrimonio riparatore, è ancora viva nella memoria degli anziani, un’eco di un Sud rurale che resiste al tempo. E poi c’è Crotone, l’antica Kroton, patria di Pitagora. Le sue feste, come quella della Madonna di Capo Colonna, attirano migliaia di pellegrini che percorrono la 106 a piedi, in un misto di fede e fatica. Questi paesi vivono un rapporto ambivalente con la strada: è il loro cordone ombelicale, ma anche una minaccia costante.
La politica: promesse spezzate
La 106 è stata usata come una pedina dalla politica. Promesse elettorali, proclami, progetti mai realizzati. Il terzo megalotto, tra Sibari e Roseto Capo Spulico, è un’eccezione: i lavori sono al 70%, forse aprirà nel 2027. Ma per il resto, la strada langue. Fabio Pugliese, ex presidente di “Basta Vittime”, denuncia: 884,9 milioni di euro disponibili, ma non spesi. Il Pnrr? Silenzio. La Commissione Europea ha inserito il tratto Catanzaro-Reggio nella rete TEN-T, ma senza fondi italiani, è solo un sogno. La politica locale, priva di competenze dirette, si limita a proclami. Intanto, la manutenzione ordinaria è scarsa, e le comunità pagano il prezzo di un immobilismo che sa di tradimento.
La mobilità calabrese: un diritto negato
La 106 è il simbolo di una Calabria isolata. La ferrovia jonica, a binario unico, è lenta e obsoleta. Le autostrade sono poche, gli aeroporti insufficienti. La 106 è spesso l’unica opzione, e questo la rende ancora più pericolosa. La Calabria è una terra di margini, geografici e politici. Ma c’è una via d’uscita. Servono un piano di ammodernamento organico, guardrail moderni, segnaletica chiara, controlli di velocità. E un’educazione stradale che cambi la mentalità degli automobilisti. La 106 potrebbe essere un volano per il turismo e l’economia, un ponte verso l’Europa. Ma per questo, serve volontà politica e visione.
La bellezza ferita della 106
Nonostante tutto, la 106 è uno spettacolo. Da Reggio a Taranto, il Mar Jonio scintilla sotto il sole. Le spiagge della Locride, le fiumare selvagge dell’Aspromonte, i paesi arroccati come Gerace: ogni curva è un quadro. Ma la bellezza è ferita. L’ex stabilimento Liquichimica di Saline Joniche, con la sua ciminiera di 154 metri, è un simbolo di degrado. Gli abusi edilizi, il “non finito calabrese”, fotografato da Angelo Maggio, deturpano il paesaggio. Eppure, la 106 potrebbe essere un itinerario turistico, una via della Magna Grecia che attrae il mondo. Basta crederci.
Un grido di speranza
La Strada Statale 106 è un paradosso. È vita e morte, bellezza e dolore. È la Calabria stessa, con le sue contraddizioni. Le croci lungo la strada gridano giustizia. Le comunità chiedono sicurezza. La politica deve agire, con interventi concreti e una visione di lungo termine. La 106 può rinascere, diventare un simbolo di riscatto. Per ora, resta una strada da percorrere con il cuore in gola, ma anche con gli occhi pieni di meraviglia.
*Documentarista