Inizia oggi la pubblicazione di una serie di testimonianze che narrano di amore e passione. Questa è la prima arrivata alla nostra redazione e che vi proponiamo ovviamente in forma anonima.

Se anche tu hai una storia da raccontarci scrivici a redazione@lactv.it.

Questa non è una semplice storia. È un respiro trattenuto. Una fiamma mai spenta, consumata in silenzio. Una carezza che non ha mai osato diventare bacio. Una di quelle storie che Fabrizio De André avrebbe forse definito “così tenera da potervi ingannare”. Una di quelle che, per non impazzire, bisogna raccontare.

Ho scelto di scrivervi non per pietà, né per nostalgia, ma per liberare il veleno dolce che ancora porto dentro. Nascondiamo troppi sentimenti, ci insegniamo a tacerli, ma ciò che non dici si ammassa, cresce, e poi esplode. E forse, in questa esplosione intima, qualcuno riconoscerà sé stesso.

Tutto è nato senza preavviso. Nessuna scena da romanzo, nessun colpo di fulmine. Solo un incastro lento, inesorabile. Uno scambio di sguardi, di parole, di pelle invisibile. Lo vedevo spesso, ma non l’avevo mai sentito mio. Non avevamo mai parlato davvero a fondo. Poi, una sera, le nostre voci si sono riconosciute. E tutto ha preso forma.

La nostra complicità non era urlata. Era sussurrata. Eravamo amanti dell’idea, complici nel desiderio non detto. Le sue mani non hanno mai cercato le mie, ma il suo sguardo mi spogliava senza toccarmi. Bastava una battuta, un silenzio, uno sfiorarsi d’aria. Mi scriveva, mi cercava, mi guardava come si guarda ciò che si desidera e non si deve avere. Era una danza lenta, un incantesimo sottile. Ogni suo messaggio era un soffio sul collo. Ogni “buongiorno”, un’eco nel ventre.

Eppure non eravamo niente. Né amici. Né amanti. Né mai ci siamo confessati nulla.
Il desiderio ci faceva tremare, ma la paura ci inchiodava. Le sue parole erano lame leggere, le mie ferite dolcissime.

Una notte, ricordo, attorno a me volti che non vedevo. Lui era lì. I suoi occhi mi osservavano da lontano, come un animale che protegge ciò che ama. “Non ti preoccupare, ti difendo io”, mi disse, e fu come se il mondo si fermasse un istante per respirare con me.

Cosa eravamo? Non lo so. Ma ogni sua parola la portavo nel sangue. Poi arrivò il silenzio. Quello denso, scomodo. Arrivarono le esitazioni, la sua indecisione, i primi distacchi non spiegati.

Noi due, così vicini nei non detti, eravamo distanti nei gesti. Lui cominciò nuove storie, io cominciai a frantumarmi. La mia assenza lo lasciava indifferente. La sua presenza, anche solo immaginata, mi devastava.

Non abbiamo avuto il coraggio. Non abbiamo avuto il tempo. O forse, semplicemente, non eravamo destinati a compierci. Siamo rimasti lì, sospesi. In una stanza che nessuno ha mai aperto davvero.
Chissà dov’è ora. Io lo sento in ogni battito.
Lo amo con la stessa intensità con cui si ama ciò che non si è mai avuto.
Non è il tempo che spegne certi incendi. È il tempo che li rende immortali.

Questa storia non ha un finale. Non l’ha mai avuto. Ma forse, un giorno, ci ritroveremo in una carezza d’aria. E i nostri cuori si riconosceranno, finalmente, senza più paura. E forse sarà amore.
O lo è sempre stato?