A tavola con sei porporati Prevost ha rivelato le ragioni della sua scelta: come Leone XIII fronteggiò la rivoluzione industriale, così lui vuole affrontare quella digitale, mettendo al centro giustizia e lavoro
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Il nuovo Pontefice Leone XIV si presenta ai fedeli dal loggione della Basilica di San Pietro a Roma
La scena è quella, discreta e solenne, della prima cena del nuovo Papa con alcuni dei cardinali che lo hanno eletto. Una tavola semplice, sei porporati, qualche sorriso, e poi la domanda inevitabile: «Santità, perché ha scelto proprio il nome Leone?». A raccontare il momento è Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado, che non nasconde l’emozione: «Io ho avuto l’onore di essere a tavola con lui, con altri cinque cardinali. Gli abbiamo chiesto del nome, e la risposta è stata sorprendente».
Secondo quanto riferito da Nemet, Papa Leone XIV ha spiegato che la sua scelta è un chiaro segnale: come Leone XIII affrontò da Papa le sfide della rivoluzione industriale, lui intende affrontare quelle della rivoluzione digitale. «Ha detto che oggi siamo dentro una nuova trasformazione globale – racconta Nemet – dove i temi della giustizia sociale, del lavoro e della dignità dell’uomo devono tornare al centro. Con la digitalizzazione molti lavori spariscono, e questo apre squilibri enormi. Serve una visione nuova, e serve adesso».
Non si tratta solo di un riferimento simbolico, ma di un’indicazione di rotta. Leone XIII è stato il papa della Rerum Novarum, l’enciclica che ha dato avvio alla dottrina sociale della Chiesa. Un pontefice che si è confrontato con le prime grandi tensioni tra capitale e lavoro, con la povertà delle masse operaie, con l’alfabetizzazione e la politica moderna. Il parallelo, nella visione di Leone XIV, è evidente: oggi il mondo si trova di fronte a sfide altrettanto radicali – l’intelligenza artificiale, l’automazione, la disuguaglianza crescente – e la Chiesa deve tornare a dire qualcosa, a prendersi responsabilità.
C’è anche un dettaglio personale: Leone XIII, da giovane, frequentava una parrocchia romana guidata dagli agostiniani. Un legame affettivo che risuona anche nella storia del nuovo Papa, lui stesso agostiniano, legato a una spiritualità del pensiero e dell’impegno attivo nel mondo. Ma la cena, come spesso accade tra prelati, non è rimasta tutta in tono solenne. Alla fine, i cardinali si sono lasciati andare a una battuta. «Fino a ieri avevamo Francesco che parlava coi lupi. Adesso abbiamo un Leone, che li caccerà», ha detto sorridendo lo stesso Nemet.
Una frase che fa sorridere, ma che contiene un sottofondo preciso. Dopo anni di dialogo con le periferie del mondo e anche con le tensioni della Chiesa, Papa Francesco ha incarnato il pastore che ascolta. Papa Leone XIV, invece, sembra voler incarnare il vescovo che agisce, che entra nel cuore dei conflitti sociali, che non si tira indietro. Non contro qualcuno, ma per qualcosa: «Per il Vangelo, per i poveri, per i lavoratori», come avrebbe detto Leone XIII. Oggi, nel tempo dei robot e dell’algoritmo, serve un’altra Rerum Novarum. E magari anche un po’ di ruggito.