Operazione Defender

’Ndrangheta, favorirono la latitanza del boss Giuseppe Pelle: 8 arresti nel Reggino - NOMI

VIDEO | Appartenente alla potente famiglia dei Gambazza di San Luca, fu catturato il 6 aprile 2018. Agli indagati vengono contestati i reati di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Redazione
10 marzo 2022
07:23

Otto persone arrestate con l'accusa di aver favorito e coperto la latitanza del boss Giuseppe Pelle, catturato nell'aprile 2018 a Condofuri. È il bilancio di un'operazione condotta dalla squadra mobile della questura di Reggio Calabria, in esecuzione di un'ordinanza di misure cautelari emessa dal gip.

Tra gli arrestati anche la moglie, i figli, il genero e un nipote di Pelle: agli indagati vengono contestati, allo stato del procedimento in fase di indagini preliminari, i reati di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale, con l'aggravante mafiosa. 


Le persone tratte in arresto sono:

  1. Barbaro Marianna, nata a Platì (RC) il 04/04/1967, moglie di Pelle Giuseppe;
  2. Pelle Antonio nato a Locri (RC) il 04/03/1987, figlio di Pelle Giuseppe;
  3. Pelle Francesco nato a Locri (RC) il 24/02/1991, figlio di Pelle Giuseppe;
  4. Pelle Elisa nata a Locri (RC) il 04/03/1987, figlia di Pelle Giuseppe;
  5. Barbaro Giuseppe nato a Locri (RC) il 12/05/1986, genero di Pelle Giuseppe;
  6. Pelle Antonio nato a Messina il 19/02/1986, nipote di Pelle Giuseppe;
  7. Morabito Giuseppe nato a Condofuri (RC) il 07/04/1961;
  8. Romeo Girolamo nato a Melito di Porto Salvo (RC) il 29/03/1979;

Le indagini

Il provvedimento cautelare scaturisce dalle indagini relative alla ricerca del boss dell'omonima cosca di ‘ndrangheta di San Luca, che, nell'aprile del 2016, si era sottratto all’esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dalla procura generale di Reggio Calabria, in base al quale doveva scontare una pena residua di 2 anni, 5 mesi e 20 giorni di reclusione per associazione mafiosa. Durante la latitanza, Pelle era stato anche destinatario di un decreto di fermo - poi tramutato in ordinanza di custodia cautelare in carcere - per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, nonché per turbata libertà degli incanti ed illecita concorrenza, sempre aggravati dal metodo mafioso: per queste ultime vicende Giuseppe Pelle è stato condannato in primo grado a 18 anni e mezzo di reclusione e, nello stesso procedimento, risulta coinvolto anche il figlio Antonio,  condannato in primo grado a 14 anni e 8 mesi per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

La protezione del boss

Protetto da una rete di fiancheggiatori prevalentemente a carattere familiare, Pelle venne catturato, dopo due anni di latitanza, in un appartamento di contrada Pistaria a Condofuri, all’interno di un immobile di proprietà della mamma di uno degli indagati.

Proprio grazie all’efficiente rete di protezione dei suoi stretti congiunti, Giuseppe Pelle, durante il periodo di latitanza aveva potuto incontrare frequentemente la moglie Marianna Barbaro, figlia di Francesco Barbaro (classe 1927, deceduto il primo novembre 2018), e ritenuto essere stato il capo dell’omonima ‘ndrina conosciuta come “Castanu”, condannato alla pena dell’ergastolo.

Prima della sua cattura a Condofuri, per come emerso dalle indagini, Pelle aveva trascorso la sua latitanza spostandosi tra San Luca e Platì, in un immobile non lontano da quello della figlia Elisa Pelle, con la quale era certamente in contatto. Proprio in occasione di uno di questi spostamenti, a settembre 2016, era risuscito a sfuggire alla cattura grazie ad un articolato servizio di staffetta organizzato dal genero Giuseppe Barbaro e dal nipote Antonio Pelle (classe 1986), mentre il latitante si trovava a bordo dell’auto con il figlio Antonio Pelle (classe 1987).

I favoreggiamenti durante la latitanza di Giuseppe Pelle

Dopo la mancata cattura, i parenti ed i fiancheggiatori adottarono condotte ancora più accorte per eludere le indagini, senza che ciò impedisse alla moglie di incontrarlo periodicamente proprio con l’aiuto dei figli e del genero.

La donna veniva trasportata in orario notturno, effettuando diverse soste durante il percorso tra le località di Natile, Careri e Bovalino e cambiando, durante il percorso, l’auto a bordo della quale viaggiava.

Il monitoraggio del territorio durante gli spostamenti del boss

Ma il sistema di monitoraggio messo in atto dal gruppo investigativo addetto alle ricerche del latitante consentì agli inquirenti di individuare la località dove il boss poteva aver trovato rifugio, ossia l’abitato di Condofuri. Le indagini si concentrarono su Girolamo Romeo, 43 anni e sul cognato Giuseppe Morabito, residente in contrada Pistaria di Condofuri, dove, attraverso telecamere appositamente posizionate, agli inizi di aprile, fu accertata la presenza del latitante. Dai controlli emerse che il boss, all’alba di ogni giorno, precauzionalmente abbandonava il covo, passando la giornata all’aperto in contrada “Mazzabarone” di Condofuri dove Giuseppe Morabito e Girolamo Romeo gestivano un'azienda agricola ed un allevamento di bestiame, facendo poi rientro in contrada Pistaria solo in tarda serata, per cenare e trascorrere poche ore di sonno.

Il blitz del 6 aprile 2018

Anche il trasferimento dal covo alla campagna era preceduto da una preliminare bonifica del percorso, che Giuseppe Morabito effettuava a bordo di una Ford Fiesta, per poi trasportare il latitante a bordo di un fuoristrada Defender. Acquisiti i riscontri necessari, il 6 aprile 2018 la Polizia di Stato fece irruzione nell’appartamento di contrada Pistaria, ponendo fine alla latitanza di Pelle.

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