La Cassazione, prima sezione penale, ha chiuso il caso delle violente aggressioni avvenute a Castrovillari e Corigliano Rossano nel luglio 2021, rigettando quasi integralmente i ricorsi presentati da Gaetano Solferino (classe ’98) e dal fratello Andrea Pio. I giudici hanno confermato la condanna a quattro anni di reclusione per lesioni aggravate, danneggiamenti, violenza privata e incendi, escludendo solo l’imputazione relativa al danneggiamento di un’autovettura, diventata improcedibile per difetto di querela dopo le recenti modifiche normative.

La vicenda processuale prende le mosse da una serie di episodi che avevano destato forte allarme nel Pollino e nella Sibaritide: l’incendio di un ciclomotore a Castrovillari, il pestaggio di tre uomini e il danneggiamento delle loro auto tra la città castrovillarese e Corigliano Rossano. In tutti i casi era stata ripresa dalle telecamere la stessa Alfa Romeo blu, riconducibile ai Solferino, con a bordo gli imputati e altri presunti complici. Nelle perquisizioni erano state trovate mazze da baseball, indumenti compatibili con quelli indossati dagli aggressori e una tanica intrisa di benzina.

Gli avvocati difensori avevano tentato di smontare l’impianto accusatorio contestando il riconoscimento dalle immagini, l’assenza di prove dirette sull’uso delle armi e la configurabilità delle aggravanti. La Suprema Corte ha respinto quasi tutte le eccezioni. «Il controllo di legittimità – si legge nella motivazione – concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione», ribadendo che la Cassazione non può sostituirsi al giudice di merito nella valutazione del materiale probatorio.

Sul punto centrale delle aggravanti, i giudici hanno sottolineato che una delle aggressione fu condotta con modalità idonee a configurare l’uso di un’arma: «Il gancio traino è stato utilizzato in quelle circostanze di tempo e luogo con finalità offensive», circostanza che integra la fattispecie aggravata. Quanto all’azione contro un’altra vittima, la Corte ha richiamato un principio consolidato: «Quando la vittima sia stata ferita nel corso di una aggressione caratterizzata da più colpi, sferrati in parte a mani nude ed in parte con l’uso di un’arma impropria, il reato si considera comunque aggravato… l’azione va considerata unica e interamente attuata mediante l’uso dei mezzi impiegati».

Particolarmente rilevante la conferma dell’aggravante del metodo mafioso. Secondo i giudici «la ratio di tale aggravante è quella di contrastare l’atteggiamento di coloro che, facciano o meno parte di un’associazione di stampo mafioso, si comportino comunque da mafiosi». Nel caso dei Solferino, le modalità plateali e violente delle aggressioni, i legami familiari con ambienti criminali e l’intento di affermarsi in contrapposizione al clan Acri-Morfò di Rossano, hanno dimostrato «la finalità di agevolare il gruppo criminale di riferimento, indipendentemente dalla sussistenza di una ben identificata compagine mafiosa».

L’unico punto accolto riguarda il capo di imputazione per il danneggiamento aggravato dell’auto di Acri, reato divenuto nel frattempo procedibile a querela. La Cassazione ha chiarito che «deve darsi applicazione alla legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen.», dichiarando l’improcedibilità per mancanza di querela. La pena è stata quindi rideterminata in quattro anni esatti per ciascuno degli imputati.