Open Gates

Anche i pregiudicati si rivolgevano a Gratteri: «Procuratore, il carcere di Catanzaro è come Scampia: una piazza di spaccio a cielo aperto»

Un detenuto racconta alla Dda lo smercio di stupefacenti a Siano nella sezione media sicurezza del "Caridi": «La droga viene pagata con sigarette o con bonifici a famiglie e avvocati». Nonostante alcune imprecisioni è stato ritenuto credibile da parte degli inquirenti

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di Antonio Alizzi
22 febbraio 2024
06:30
Il carcere di Catanzaro, nel riquadro Nicola Gratteri
Il carcere di Catanzaro, nel riquadro Nicola Gratteri

L'inchiesta sul traffico di cellulari e droga nel carcere di Catanzaro dimostra che anche i pregiudicati volevano essere ascoltati dall'allora procuratore della Dda Nicola Gratteri, oggi responsabile dell'ufficio direttivo di Napoli, la Procura più grande d'Italia. Questa circostanza emerge dalle carte dell'inchiesta denominata dagli investigatori "Open Gates", che di recente ha travolto una parte del sistema penitenziario "Caridi" di Catanzaro e diversi detenuti presenti nell'istituto penitenziario.

Il presunto spaccio a cielo aperto non era gradito da alcuni soggetti che, in una fase della loro detenzione, erano stati trasferiti a Siano. Ne dà conto uno dei reclusi di Catanzaro il quale, durante lo svolgimento delle indagini preliminari aveva preparato un esposto indirizzato al procuratore della Repubblica. La missiva, secondo quanto emerge, è stata recapitata al pubblico ministero Veronica Calcagno che, in collaborazione con la polizia giudiziaria delegata all'indagine, ha interrogato il detenuto. Le dichiarazioni rese a sommarie informazioni sono pesanti.


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«A Catanzaro sono stato messo» nel reparto di media sicurezza, ha dichiarato alla procura, «che è una piazza di spaccio a cielo aperto, con telefoni cellulari e tablet». All'interno delle celle, secondo quanto riferito dal detenuto, qualcuno «viveva solo di traffici» in collaborazione con reclusi di altra nazionalità. «Questi detenuti hanno un libro mastro con i nomi dei creditori, la droga viene pagata con sigarette o addirittura con bonifici a famiglie e avvocati». Il soggetto in questione ha spiegato al magistrato Calcagno che il carcere di Catanzaro verrebbe chiamato "Scampia", come il quartiere di Napoli, dove ci sono le piazze di spaccio della Camorra.

Il detenuto, inoltre, ha aggiunto di aver visto entrare con i suoi occhi 100 grammi di hashish. «Ogni mercoledì arrivano i carichi, ma non solo dove sto io. Hanno creato un sistema, i detenuti di serie B si comprano il telefono, in società con gli altri. Gli zingari usano i telefonini piccoli». L'uomo tuttavia aveva chiesto di essere trasferito e questa comunicazione sarebbe stata fatta anche al «comandante di reparto, la Poli» sottolineando che «lei mi ha detto che mi avrebbe fatto chiamare ma non è venuto nessuno. Ho parlato anche con la direttrice, la Paravati, denunciando quanto accadeva e lei mi ha detto di farmi i fatti miei, di pensare a mia moglie», evidenziando però che la «Poli mi ha detto anche di parlare con qualche magistrato».

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Ulteriori dettagli nella parte finale delle sommarie informazioni, dove il detenuto ha ribadito che a Catanzaro «c'è un sistema vero e proprio», dove la droga e i telefoni «arrivano tramite anche i carrelli spesa/vitto che vengono portati dai detenuti. I telefoni vengono smontati la sera, la scheda nello zucchero, la batteria nella lavatrice, sotto gli armadietti, perché se arriva una perquisizione te li trovano». 

Come riscontro alle dichiarazioni fatte dal detenuto in questione, i carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro hanno accertato che nel periodo di riferimento vi erano nel carcere di Siano diversi soggetti di nazionalità straniera, di cui aveva parlato in precedenza, nonché reclusi di origine italiana. Sul punto, però, gli investigatori hanno rilevato che alcuni nomi non erano in realtà presenti a Catanzaro ma ciò sarebbe dovuto al fatto che l'uomo nel corso della sua vita ha cambiato diversi istituti penitenziari e in alcuni casi si sarebbe confuso. Tuttavia, le sue propalazioni sono state ritenute, nonostante le imprecisioni, del tutto genuine.

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