Il caso

Si dimette da arbitro di pallavolo perché considerata troppo grassa, Vaiti (Cgil donne): «Basta body shaming»

La sindacalista commenta la clamorosa protesta della giovane catanzarese e la invita a «lottare insieme contro le discriminazioni»

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di Redazione
15 febbraio 2023
18:40
Caterina Vaiti e Martina Scavelli
Caterina Vaiti e Martina Scavelli

«Ancora una volta siamo costretti a dovere appurare che la fisicità per una donna è requisito discriminante in ambito lavorativo». Caterina Vaiti, Segretaria Confederale Cgil Calabria e responsabile del Coordinamento Donne Cgil Calabria “Lottiamo insieme e unite”, commenta così le dimissioni dal suo ruolo di arbitro della catanzarese Martina Scavelli.

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«Quanto denunciato da questa giovane donna è grave e non può non essere stigmatizzato. Un arbitro non deve avere le caratteristiche di una modella, ma deve essere competente – afferma Vaiti -. Ancora oggi si giudicano le donne in base al proprio corpo, il fatto di pesare questa donna come condizione per farle svolgere il suo ruolo di arbitro è assurdo».


«Ad un arbitro – continua la Segretaria - non sono richieste performance sportive, la sua entrata in campo non può essere legata all’ago di una bilancia. Il tutto mentre il Paese continua ad avere 18 punti percentuali di distanza tra occupazione femminile e maschile, la maternità è ancora a volte l’anticamera del licenziamento, la donna viene fatta sempre sentire ‘qualcosa in meno’ rispetto agli uomini. Un ‘qualcosa’ che si riversa anche nelle differenze salariali».

«Quanto accaduto a Martina è la punta di un iceberg che dobbiamo tutti e tutte contribuire ad abbattere con i mezzi della Cultura e, quando necessitano, anche della legge. Il lavoro è dignità e viceversa, non possiamo permettere che atteggiamenti e valutazioni discriminanti violino principi e diritti conquistati nel tempo. Stiamo assistendo ad una retromarcia culturale non più tollerabile. Come Coordinamento Donne Cgil Calabria  - conclude Caterina Vaiti - siamo pronte ad utilizzare ogni strumento affinché il “body shaming” non venga tollerato né sui luoghi di lavoro né altrove».

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