«Nessuna bomba uccide l'amore»: il ricordo di Matteo Vinci a due anni dalla morte

Un anniversario particolare per le circostanze imposte dal coronavirus che ha dato vita all'iniziativa nata sui social #nondimenticomatteo. Ecco il videomessaggio di Salvatore Borsellino dedicato al giovane ucciso a Limbadi

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9 aprile 2020
11:17

Due anni dall’autobomba di Limbadi. Due anni dalla tragica morte di Matteo Vinci, il biologo 42enne la cui auto – sulla quale viaggiava insieme al padre Francesco – fu fatta saltare in aria il 9 aprile 2018 in una strada di campagna.

Un anniversario particolare, questo, per le circostanze imposte dall’emergenza sanitaria in corso che prevedono un ferreo distanziamento sociale. Per ovviare all’impossibilità di commemorazioni pubbliche ha preso vita sui social l’iniziativa #nondimenticomatteo, nell’ambito della quale diverse personalità del mondo del sociale, dei media, dell’impegno sul fronte antimafia, hanno manifestato la propria vicinanza alla famiglia e lasciato un ricordo in memoria di Matteo.

«Avremmo voluto commemorarlo nei luoghi della sua vita e della sua morte - si legge in una nota -. Avremmo voluto un ricordo corale di quanti l'hanno conosciuto, amato ed eletto simbolo di un ideale di lotta contro chi dispone della vita e della morte degli innocenti. Questa pandemia letale ha imposto le sue regole e ci ha costretto a un altro modo di vivere e di ricordare. La quarantena non concede i riti del lutto, del cordoglio condiviso che pure aiutano a superare la perdita. La perdita di Matteo non è drammatica solo per la sua mamma, il suo papà e per Laura ma è un danno per tutti noi che affrontiamo questa pandemia. Matteo aveva una laurea importante: era laureato in biotecnologia medica farmaceutica e veterinaria. Avrebbe sicuramente dato il suo contributo in questo periodo di emergenza. La sua morte è un danno per tutti noi».

Il ricordo di Salvatore Borsellino

Tra quanti hanno dedicato un pensiero a Matteo Vinci anche Salvatore Borsellino. «Caro Matteo - esordisce il fratello del giudice ucciso dalla mafia -, non ti conoscevo quando lo scorso anno sono venuto nella tua Calabria per incontrare i giovani come faccio ormai da 27 anni, da quando hanno ucciso mio fratello. Quei giovani ai quali tu hai cercato di insegnare a non abbassare la testa a non accettare favore a non inchinarti di fronte alla prepotenza di persone che costituiscono un cancro che ha distrutto la mia Sicilia e corrode anche la tua terra».

Un videomessaggio carico di emozioni, di straziante dolore che lascia il posto però anche all'amore, alla sete di giustizia. La stessa voglia di giustizia di mamma Sara e papà Francesco che mai, neppure per un attimo hanno chinato la testa «alla prepotenza mafiosa».



«Mentre ti scrivo sto guardando una foto, la tua mamma e il tuo papà sono seduti accanto alla tua bara circondata di fiori bianchi. Mi colpisce la figura di tuo padre, rimasto anche lui gravemente ferito nell'attentato che ti ha portato via. Ma ha uno sguardo fiero, lo sguardo di chi non si arrenderà mai davanti alla prepotenza mafiosa e questi valori ti ha saputo insegnare. Accanto la tua mamma, Rosaria. La testa china sotto il peso del dolore che la distrugge ma che ha saputo presto trasformare in volontà di giustizia, in una rabbia che però esprime la pacatezza delle persone forti, di chi sa di essere dalla parte giusta».


E, ancora «grazie alla tua mamma ti ho conosciuto, in lei ho trovato la stessa forza della mia. Quando ancora aveva ancora nelle orecchie il boato della bomba disse ai figli che restavano che dovevano andare dovunque a parlare del sogno di Paolo e lui sarebbe vissuto per sempre. Abbracciando tua madre mi è sembrato di abbracciare la mia perché ha la sua stessa forza, la stessa determinazione e amore per il figlio che gli hanno portato via e l'amore nessuno potrà portarlo via. Nessuna bomba uccide l'amore. Sulla tua bara c'era una foto, quella stessa foto la porto sempre con me per parlare ai giovani parlo anche di te e del tuo sogno. Grazie Matteo, grazie per quello che hai fatto per noi, per la forza che di dai e ci continui a dare».

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