La donna racconta il dramma di Luigi Di Sarno, morto dopo aver mangiato un panino con salsiccia: «Dimesso con una diagnosi generica, è morto sull’asfalto davanti ai nostri occhi. Ora vogliamo giustizia»
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Nella foto il 52enne Luigi di Sarno, vittima forse da intossicazione da botulino
«Ho mangiato un panino. Ho delle fitte allo stomaco atroci. Ma anche altri dolori un po’ dappertutto». Con queste parole, Luigi Di Sarno telefona alla sorella Filomena, poche ore prima di morire. Aveva 52 anni e si era appena cibato di un panino con salsiccia e broccoli comprato da un venditore ambulante sul lungomare di Diamante, in provincia di Cosenza.
La tragedia è avvenuta mercoledì 6 agosto, è Fanpage a raccogliere la testimonianza della sorella di Di Sarno. Nella stessa giornata, almeno altre nove persone sono state ricoverate all’ospedale di Cosenza con sintomi riconducibili a un’intossicazione da botulino: annebbiamento della vista, vomito, malessere diffuso. L’ipotesi è quella di un vero e proprio focolaio.
Filomena racconta che i primi disturbi del fratello erano comparsi già lunedì 4 agosto. «Gli ho detto di provare a rigurgitare il panino», riferisce a Fanpage.it. «Mi ha richiamato dicendo di aver vomitato, ma stava ancora male». Il giorno successivo, Luigi si reca in ospedale per un primo controllo, ma torna a casa dopo un apparente miglioramento. Mangia un pezzo di pizza, ma i dolori persistono. «Mi sento uno schifo», confida alla sorella, tentando di sdrammatizzare: «Adesso bevo una Coca-Cola, così mi brucia tutto!».
La sera le sue condizioni peggiorano. «Mi chiama con una voce flebile e dice: “Io sto morendo. Non vedo bene, non riesco a deglutire, mi fa male dappertutto. Non mi reggo in piedi”». Portato da un amico in ospedale intorno alle 23, viene dimesso poche ore dopo con una diagnosi di “dolore addominale generalizzato”. «Mi ha detto che non gli sembrava nemmeno un ospedale, ma solo un ambulatorio. Gli hanno messo una flebo, poi ha chiesto solo di riposare», prosegue Filomena.
Mercoledì il quadro clinico precipita. «Sto morendo», ripete Luigi. «Non riesco a deglutire, non riesco a respirare». La sorella lo raggiunge, ma anche gli esami medici non rilevano anomalie. Gli viene consigliata una visita neurologica. La famiglia decide di trasportarlo a Napoli, ma durante il viaggio, tra Scalea e Lagonegro, Luigi smette di respirare. «Appena l’auto si è fermata, è sceso e ha cercato di prendere aria, ma dopo pochi minuti non c’era più…».
In quel momento una pattuglia dei carabinieri intercetta l’auto: un militare tenta un massaggio cardiaco, l’altro chiama i soccorsi. Sul posto arrivano medici e l’elisoccorso, ma ogni tentativo è vano: Luigi è già morto.
«Ora chiediamo giustizia», afferma Filomena. «Se in ospedale arriva un paziente che non riesce a respirare, non puoi limitarti a fare una risonanza e consigliargli di vedere un neurologo. Mio fratello era sano, un salutista. Attendiamo l’autopsia, ma la verità deve venire fuori».
Poi il ricordo si fa personale: «Nessuno merita di morire in quel modo, sull’asfalto, davanti ai nostri occhi. Mio fratello era un’anima libera, uno spirito artistico. Sempre allegro, pieno di vita, con una parola gentile per tutti. Lo dico col cuore: era speciale. E merita giustizia».