Open Gates

Il «cellulare fiammante» e la soffiata nel carcere di Catanzaro: «Comandà, l’avvocato gli sta portando il telefonino»

Il sequestro effettuato il 18 marzo del 2022 che segna il coinvolgimento nell’inchiesta di Pietro Martire, professionista cosentino accusato di far parte della presunta associazione a delinquere

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di Marco Cribari
17 febbraio 2024
06:15

Il telefono era ancora incellofanato e munito di caricabatterie. Il 18 marzo del 2022 la polizia penitenziaria di Catanzaro lo trova addosso a Michael Castorina, allora fresco di colloquio con il proprio difensore di fiducia. «Non me l’ha dato lui» mette le mani avanti il detenuto, ma forse è un po’ troppo precipitoso. In quel momento, infatti, nessuno ha ancora adombrato quel sospetto.

Due anni più tardi, è proprio quel ritrovamento a mettere nei guai Pietro Martire, avvocato cosentino di 48 anni arrestato ieri nell’ambito dell’inchiesta “Open gates”. Anche a lui, la Dda riserva un posto nell’associazione a delinquere protagonista del giro vorticoso di droga e telefonini introdotti tra le mura della casa circondariale di Catanzaro. La misura cautelare chiesta nei suoi confronti era la più severa possibile: quella del carcere. Il gip, però, ha ritenuto sufficienti gli arresti domiciliari.


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Gli investigatori lo hanno tenuto a lungo sotto controllo, spiandone movimenti e chiamate alla ricerca di zone d’ombra e opacità. Alla fine, sempre grazie alle intercettazioni, sono venuti a sapere in anticipo ciò che sarebbe accaduto quel 18 marzo. A stabilire la data dell’incontro tra cliente e avvocato, infatti, non sarebbe stato nessuno dei diretti interessati, bensì il detenuto cosentino Riccardo Gaglianese, uno dei presunti promotori del gruppo criminale che coordinava le operazioni dall’interno dell’istituto di pena. In precedenza, erano stati registrati contatti telefonici anche tra lui e Martire.  È l’incrocio di questi elementi che ha spinto gli investigatori a dubitare sempre più del professionista.

Quel giorno, però, la perquisizione e il ritrovamento del telefono avvengono per iniziativa della polizia penitenziaria su input del comandante Simona Poli. Due anni dopo, anche lei finirà in manette nell’ambito della stessa operazione, ma in quel frangente sembra faccia il proprio dovere. Invia un’informativa in Procura e finanche una segnalazione all’Ordine degli avvocati. Subito dopo il sequestro, poi, a colloquio con un collega spiega di essere stata messa sul chi va là da un altro detenuto, sua fonte confidenziale. «Mi ha detto tutto: comandà, viditi ca al prossimo colloquio, l’avvocato ci porta u telefono».

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In quel dialogo, anch’esso oggetto di captazione, i due scherzano sulla reazione di Castorina, sul suo tentativo goffo di scagionare l’avvocato e su come quest’ultimo fosse stato «poco furbo» perché il famigerato colloquio era durato solo «dalle 9.03 alle 9.14». Troppo breve per essere vero. «Un cellulare fiammante, bello, cu le cose tutte incellofanate. Pure scemi, no?». La presunta consegna del telefono è valsa a Pietro Martire l’accusa aggiuntiva di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti. Il professionista cosentino sarà sentito nei prossimi giorni dal gip al pari di tutti gli altri indagati finiti come lui ai domiciliari. Lo difende l’avvocato Roberto Le Pera.

Giornalista
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