Due omicidi non fanno una prova, ma non si può negare che l’agguato in stile mafioso andato in scena ieri a Cetraro, sulla Ss 18, faccia scattare più d’un campanello d’allarme. Il sangue, infatti, è tornato a bagnare la costa tirrenica cosentina nella sua parte medio-alta, proprio nel borgo marinaro che di quella zona è un po’ la capitale simbolica.

Era accaduto già a novembre del 2023, quando una raffica di piombo aveva posto fine alla vita dell’imprenditore Angelo Cataldo, un delitto che da allora è ancora in cerca d’autore. C’è un collegamento tra la sua uccisione e quella di Pino Corallo? Da due punti passa una sola retta; e ammesso che quel collegamento esista, ci porta in una direzione precisa: il riassetto degli equilibri criminali, il nuovo che avanza e il vecchio che scompare, lentamente scompare.

Quando si verifica tutto questo, l’effetto non è altro che una lunga scia di lutti. Per i cetraresi, specie per quelli di ultima generazione, si tratterebbe di una novità assoluta. Omicidi così efferati, da quelle parti, non si vedevano da più di quarant’anni. La carneficina, i più attempati, ce l’hanno ancora negli occhi, ma come un ricordo lontano. Erano i tempi in cui il clan ancora giovane di Franco Muto si lanciava alla conquista del potere, marcando il territorio con una lunga scia di cadaveri.

Il ricorso alla forza, in quel frangente, fu in parte strategico, in parte dettato dalla scoperta dell’impunità. Al lungo elenco di vittime lasciate sul campo al principio degli anni Ottanta, che ha in Giannino Losardo e Lucio Ferrami i suoi nomi più “eccellenti”, si associa infatti l’incapacità, da parte delle forze dell’ordine, di contrastare in alcun modo quell’ascesa scandita dalle pallottole. Era difficile allora, lo è ancora oggi.

Il sereno dopo la bufera è anche il segnale della vittoria. Da quel momento, la cosca Muto depone le armi e prolifera in affari. Negli anni successivi Cetraro e le zone circostanti restano immuni a turbolenze e scossoni che, a intervalli regolari, continuano a flagellare la costa cosentina. La guerra di mafia, truce e sanguinosa, che attraversa la vicina Paola tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo, innesca il solito gioco di alleanze e contrapposizioni. La faida tra i Serpa, Nella “la bionda” ovvero una donna al comando, l’esecuzione del boss Luciano Martello, la morte dolorosa e unica dell’innocente Antonio Maiorano. Sono anni di terrore, ma la “città aperta” di Cetraro non sembra risentirne.

La pace continua a scandire i giorni sulla Riviera dei cedri, e che sia pace di mafia nessuno sembra o vuole farci caso. Il tempo, però, cambia le cose e anche le persone. La cronaca mette in discussione l’attualità di Franco Muto, lo storico Re del pesce: l’anagrafe e le condizioni di salute sempre più precarie, i pentiti che gli assegnano ormai un ruolo da pensionato. Anche stavolta, due indizi non fanno una prova, ma valgono almeno da indicatori di una mutazione in corso, segnali di un cambiamento in arrivo.

Avvisaglie analoghe, a ben vedere, a quelle che nell’ultimo quinquennio hanno interessato l’altro mare, la costa jonica cosentina, dove al tramonto degli antichi equilibri criminali ha fatto seguito una vera e propria mattanza. Vecchi boss, cani sciolti, pretendenti al trono, tutti spazzati via col fuoco. Da una sponda all’altra: se la scelta stragista non è effetto, ma causa stessa della malattia della Sibaritide; i due morti di Cetraro rappresentano al più un sintomo. C’è un nuovo ordine che avanza sul Tirreno cosentino e che comincia a farsi largo con pistole e fucili? Troppo presto per dirlo, ma se per tutti è un semplice e solito sospetto, per Cetraro è un triste presagio.