Cinque telefoni cellulari nascosti all’interno del carcere di Corigliano Rossano. A scoprirli, nel corso di un’attività di controllo e investigazione, sono stati gli agenti del reparto di Polizia Penitenziaria della casa circondariale, che hanno immediatamente proceduto al sequestro dei dispositivi. Secondo quanto riportato da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), e Francesco Ciccone, segretario regionale, si tratterebbe di un rinvenimento tutt’altro che isolato. «È verosimile – sostengono – che i telefoni potessero essere destinati ad altri reclusi, magari dietro compenso. Un fenomeno che, negli anni, si è ripetuto più volte nei vari istituti penitenziari italiani, diventando una delle principali criticità sul piano della sicurezza interna».

I sindacalisti evidenziano l’importanza di comprendere le dinamiche che stanno alla base di questi episodi, ma anche e soprattutto il valore dell’attività di prevenzione svolta dalla Polizia Penitenziaria. «Un lavoro continuo – sottolineano – portato avanti con poche risorse e in condizioni operative non sempre adeguate». Il Sappe torna quindi a chiedere un intervento strutturale: «Per rendere davvero efficace il contrasto all’ingresso illegale di telefoni in carcere, serve schermare gli istituti penitenziari. Solo così – spiegano – si può impedire l’uso dei dispositivi all’interno delle celle, rendendoli di fatto inutilizzabili». L’introduzione illecita di telefoni cellulari in carcere costituisce un reato, secondo l’articolo 391-ter del Codice Penale, introdotto nel 2020. Tuttavia, la norma – denunciano dal sindacato – non ha prodotto il risultato deterrente atteso. Le violazioni continuano, e spesso con modalità sempre più sofisticate.

Un altro aspetto da non trascurare riguarda i rischi legati alla possibilità che i dispositivi vengano utilizzati per coordinare attività esterne o per mantenere contatti non autorizzati, compromettendo ulteriormente l’equilibrio già precario degli ambienti carcerari. Il caso di Rossano riporta quindi all’attenzione nazionale un problema ancora aperto: il contrasto agli strumenti di comunicazione illegale dietro le sbarre. Un tema che richiede investimenti, innovazione e un serio rafforzamento dell’organico. Per garantire sicurezza e legalità, dentro e fuori le mura.