Ricostruito il presunto patto unitario tra “zingari”, Italiani e altri gruppi: gerarchie, summit e rendicontazione illecita con al vertice il boss condannato all’ergastolo per il duplice omicidio Lenti-Gigliotti. Ecco le motivazioni finali del giudice Giacchetti
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Le doti di 'ndrangheta
Una confederazione mafiosa, strutturata e permanente, capace di coordinare attività illecite, risolvere conflitti interni e garantire il sostegno economico agli affiliati detenuti.
È questa l'immagine della criminalità organizzata a Cosenza restituita dalle motivazioni della sentenza abbreviata Reset, con cui il giudice Fabiana Giacchetti ha ricostruito il funzionamento del sistema criminale federato al vertice, ruolo occupato dal boss Francesco Patitucci, condannato all’ergastolo per il duplice omicidio Lenti-Gigliotti.
Secondo quanto stabilito dal gup di Catanzaro, il territorio di Cosenza sarebbe stato teatro, a partire almeno dal 2011, della nascita di un patto unitario tra clan storicamente distinti - come gli “zingari”, i Lanzino, i Di Puppo e i Presta - con l’obiettivo comune di «massimizzare i profitti mediante il controllo coordinato del territorio».
Un’alleanza criminale consolidata da summit, accordi formali e dalla creazione di una bacinella unica in cui confluivano i proventi di estorsioni, traffici di droga e altre attività illecite.
«Il gruppo federato, per parte degli italiani, comprendeva Patitucci Francesco, Lanzino Ettore, Di Puppo Umberto, Porcaro Roberto e altri», ha dichiarato il collaboratore Franco Bruzzese, ricordando l’incontro del novembre 2011 a Rende alla presenza dello stesso Lanzino, all’epoca latitante, e dei rappresentanti degli “zingari”. In quell’occasione fu definita una spartizione al 60% per gli italiani e al 40% per gli zingari.
Le dichiarazioni di Bruzzese trovano riscontro in quelle rese da Ernesto Foggetti, Daniele Lamanna, Silvio Gioia, Roberto Presta, Francesco Greco e altri collaboratori, secondo cui l’intera struttura ruotava attorno alla figura di Patitucci, descritto come «numero uno della cosca Lanzino» e «riferimento obbligato per tutti gli ’ndranghetisti di Cosenza e provincia».
L’alleanza si concretizzava nella condivisione delle estorsioni e nella gestione federata dello spaccio. «Lo spaccio di sostanze stupefacenti veniva gestito in modo “federato”», ha spiegato Foggetti, con la cocaina affidata ai Di Puppo, l’eroina ai “Banana” e l’hashish a un altro gruppo cosentino.
Lo stesso collaboratore ha raccontato l’istituzione di un “consorzio” tra imprenditori delle pompe funebri costretti a versare somme alla bacinella comune in base al numero di servizi effettuati.
Le intercettazioni ambientali registrate nell’abitazione di Patitucci hanno rafforzato il quadro probatorio: in un colloquio con Sergio Raimondo, il boss ammetteva apertamente la gestione unitaria delle estorsioni e l’imposizione agli “zingari” di versare “metà dei soldi” nella cassa comune.
A conferma dell’impianto accusatorio anche la testimonianza di Palmieri Anna, che ha chiarito: «La bacinella e il sistema coincidono. Servono per pagare gli avvocati, sostenere i detenuti e garantire gli stipendi». In questa struttura confederata, ogni gruppo manteneva una relativa autonomia operativa, ma agiva sotto un’unica regia.
Il giudice ha inoltre applicato a tutti gli imputati l’aggravante della disponibilità di armi, richiamando sequestri avvenuti nel tempo e le dichiarazioni di Zaffonte, Barone, Celestino Abbruzzese e Francesco Greco, che hanno confermato l’esistenza di arsenali comuni e il commercio di fucili, pistole e persino esplosivi. Al contrario, il tribunale collegiale di Cosenza ha escluso il comma 4 e il comma 6 (escluso anche dal giudice Giacchetti), ritenendo che la confederazione cosentina non sia armata né dedita al riciclaggio.
Alla luce dell’intero compendio probatorio, il giudice ha concluso che “oltre ogni ragionevole dubbio” sia provata l’esistenza della confederazione mafiosa descritta al capo 1, ritenendo “superate tutte le censure difensive” sull’assenza di un organo direttivo formale. Il vertice, in questo sistema, era chiaro: Francesco Patitucci.