Lo scenario criminale

«Così la ’ndrangheta fa pagare le estorsioni allo Stato»: l’ex procuratore aggiunto di Reggio racconta il sistema «geniale» dei clan

Gaetano Paci spiega l’infiltrazione delle cosche calabresi al Nord alla Commissione parlamentare antimafia: «Li consideravano “quattro scappati di casa” ma ora hanno vent’anni di vantaggio». Il caso delle 166 società cartiere in un solo citofono in Emilia Romagna

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di Pablo Petrasso
27 febbraio 2024
06:15

La ’ndrangheta è la nuova questione settentrionale. E intercettare le rotte dell’economia sommersa aiuta a scovarne le tracce nei ricchi sistemi produttivi del Settentrione. Specie dove le frodi fiscali sono diventate una sorta di brand, come in Emilia Romagna dove, racconta il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci, «anche noti marchi nazionali si rivolgono a queste organizzazioni per l'acquisto di pacchetti di false fatture, per l'acquisto di pacchetti di frodi fiscali, prevalentemente di evasione all'Iva».

L’intercettazione: «Tu scendi in Calabria e ti occupi di tutta la monnezza»

Paci fa ricorso a un aneddoto che risale al tempo in cui era aggiunto della Dda di Reggio Calabria per spiegare la mutazione che ha interessato la ’ndrangheta al Nord. Nella riunione della Commissione parlamentare antimafia – una delle tante calendarizzate per analizzare l’espansione dei clan calabresi – si rivolge al suo ex capo Federico Cafiero de Raho, oggi deputato del Movimento Cinquestelle per ricordare una storia significativa. È quella di un mafioso che, dopo avere scontato la pena, anziché tornare a Rosarno, «se ne va a Granarolo dell'Emilia, e a casa sua, subito dopo la sua scarcerazione, fa una riunione, convoca i figli, ai quali dice chiaramente: “Tu scendi giù” (cioè torna in Calabria) “e ti occupi di tutta la monnezza” – il termine usato è in realtà molto più crudo – “tu invece no – rivolgendosi all'altro figlio – perché tu devi rimanere qua a fare l'imprenditore, quindi tu devi tagliare i ponti con la nostra casa madre”».


Questa intercettazione è, per il magistrato, «estremamente esemplificativa di come la 'ndrangheta abbia compreso, abbia percepito l'importanza strategica di quel territorio, dove tutte le attività economiche dovevano essere ovviamente gestite con criteri diversi rispetto a quelli con cui venivano gestite al Sud, dove non si trattava di mettere le bombe, di far saltare in aria gli esercizi commerciali rispetto al debitore che non paga o di eliminare il concorrente andandogli a sparare alle gambe».

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Paci: «Con la falsa fatturazione la ’ndrangheta fa pagare allo Stato le estorsioni»

È il primo aspetto di quella che Paci, quasi scusandosi con i commissari, definisce una strategia «geniale». La ’ndrangheta approfitta delle debolezze del territorio: in questo caso la tendenza degli imprenditori a sposare la circolazione del denaro “in nero”. Anche per questo ai clan non serve l’esibizione di una potenza criminale: già nella sentenza Aemilia, spiega Paci, «si mette chiaramente in evidenza che quel processo aveva radiografato proprio questo momento di passaggio della 'ndrangheta che da soggetto militare presente sul territorio che cerca di acquisire il monopolio di attività economiche illegali si era via via trasformato in soggetto che sul territorio si interessa prevalentemente di attività economiche legali». Il passaggio a questa nuova fase passa attraverso la ricerca di un accordo con gli imprenditori, «e il modo per mettersi d'accordo è proprio quello della falsa fatturazione, perché la falsa fatturazione di fatto è il meccanismo che consente alla 'ndrangheta di far pagare allo Stato le estorsioni». L'estorsione «non avviene più attraverso l'imposizione violenta, intimidatoria. L'intimidazione ci può essere allorquando ci si trova in presenza di qualche soggetto recalcitrante. Ma normalmente la falsa fatturazione diventa un meccanismo che consente sia all'estorto che all'estortore di trarre comunque un vantaggio, scaricando tutto sullo Stato».

È qui che il procuratore di Reggio Emilia definisce il metodo «geniale da un punto di vista della compatibilità, della necessità di continuare a mantenere una posizione di controllo e di egemonia su un dato territorio senza rendersi visibili».

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«Al Nord bisogna fare alle imprese l’analisi del sangue»

Non è un passaggio da poco: aiuta a capire che al Nord i reati finanziari sono davvero la spia della presenza mafiosa. «Qui – continua Paci – il sistema di contrasto diventa di carattere specialistico, ovverosia occorre fare quello che si definiva un tempo l'“analisi del sangue” delle imprese per comprendere a chi poi, di fatto, sono riconducibili, posto che nel 90 per cento dei casi le imprese che hanno diretto o indiretto riferimento alla criminalità organizzata sono imprese gestite da perfetti sconosciuti, da prestanome, da soggetti privi di qualunque ostensione di carattere criminale o di polizia, e che quindi per ciò stesso si rendono impermeabili».

A Reggio Emilia 166 società cartiere in un solo citofono

Nasce da questa mutazione la «diffusione di società cartiere, ossia società che non svolgono alcuna attività operativa concreta, ma che hanno esclusivamente la funzione di associare a determinate operazioni economiche un mero nome. In un caso addirittura a Reggio Emilia vennero rinvenute 166 società cartiere in un solo citofono. Ovviamente nessuna di queste aveva una sede operativa, personale, strutture o altro. Erano semplicemente dei nominativi, riconducibili tutti alle stesse persone».

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«La ‘ndrangheta ha guadagnato un ventennio di vantaggio»

I calabresi non erano «quattro scappati di casa che si facevano la guerra tra loro», come si pensava prima degli anni Duemila. Tutt’altro. «Ciò che è successo in Emilia – evidenzia Paci – non è altro che una componente di un più ampio processo evolutivo che ha portato la 'ndrangheta a sganciarsi sempre di più dalle tradizionali modalità di affermazione sul territorio e a trovare in zone di grande ricchezza, che ovviamente nel nostro Paese non sono localizzate soltanto in Emilia-Romagna, ma anche in Lombardia, anche in Veneto, tantissimo in Veneto, in Liguria, in Piemonte, in aree diverse, dove sia il contrasto giudiziario sia la modalità di manifestazione poteva consentire all'organizzazione criminale di operare senza rendersi altrettanto visibile come nei territori di provenienza». La ’ndrangheta lo ha capito prima di tutti e così ha guadagnato «almeno un ventennio di vantaggio rispetto alla comprensione degli osservatori, non solo di quelli giudiziari e di polizia, ma anche di coloro che studiano questi fenomeni».

La mafia per il procuratore non può essere «silente», si è soltanto «trasformata. Non è più un organismo che ha una modalità operativa di tipo militare o esclusivamente militare, salvo, poi, gestire in altre stanze di compensazione, con l'imprenditoria, quella parte di politica con cui ha sempre in qualche modo cercato di dialogare e degli altri apparati dello Stato, di trovare il proprio utile, il proprio tornaconto». Oggi la mafia è più complessa e «si manifesta con modalità diverse. Queste modalità riguardano la gestione, appunto, delle attività economiche in territori dove la ricchezza consente, ovviamente, di diversificare gli investimenti».

A Reggio Emilia, ad esempio, «uno dei settori di maggiore interesse è quello della logistica, perché è uno dei settori, oltretutto, in cui più di altri – assieme a quello dei trasporti – è possibile ricostruire l'uso anche della somministrazione illecita di manodopera, che di fatto è sempre riconducibile a persone collegate alla 'ndrangheta. Tutto ciò, però, non avviene attraverso modalità violente. Avviene attraverso modalità contrattuali. Ecco, quindi, dove sta il cambiamento, direi quasi antropologico, che oggi la criminalità organizzata nel nostro Paese ha realizzato».

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